giovedì 24 ottobre 2013

Un saluto impetuoso

Il mio caro Ceci (non oso chiamarti impropriamente “Il Ciociaro” altrimenti, è successo già una volta e può succedere benissimo nuovamente, i tuoi compaesani o compatrioti, direi anche giustamente, si incazzano e mi mangiano verbalmente vivo, e si sentirebbero anche giustamente tutti interpellati in maniera generalizzata e inglobante e, proprio per questo motivo, che oserei etichettare “istericamente convenzionale”, in una maniera del tutto fuorviante; non sanno, però, che questo simpatico appellativo racchiude in sé un significante tutto specifico che si rifà a tutt’altro significato: ovvero la tua unica e irripetibile persona, letteralmente intraducibile nelle generalità del tuo localismo)... Dicevo il mio caro Ceci, come stai? Come trascorri curante il tuo prezioso e grazioso tempo? Eh sì, quel tanto caro e lungimirante tempo – ricordando la tua famosa e lapidaria e ripetitiva citazione "Tanto c'è tempo, tanto c’è tempo", in risposta a chi sospettava in te un lassismo e uno sciupio altamente menefreghista di quest’ultimo tempo prospettico... E allora? (con tonalità solamente baresi) Che fine ha fatto questo tempo bello grosso, massiccio e compatto, una manna dal cielo gradevole insomma: è ciononostante irrimediabilmente passato?? E or dunque? Come vanno le visitine possibilmente lavorative e le strette di mano tanto attese con gli amministratori delegati sparsi per tutto il mondo di aziende cazzutissime che dici di incontrare così frequentemente? Parlo, rovistando fra i tuoi memorabili racconti, di quei personaggi oltremodo ansiosi e emozionati nel riceverti, nei tempi che verranno o che sono già avvenuti o avvengono or ora – ah sì, aspetta! Vedrai che tra un po', ma che dico, immediatamente, coloro che stanno pazientando della tua attesa saranno così compiacenti e disponibili da prepararti addirittura l'english tea con i pasticcini, ma di quelli secchi e buoni buoni eh, non quelli scadenti; quelli – e li riconoscerai di sicuro – che si lasciano inzuppare delicatamente e rigorosamente col mignolo alzato in segno di deferenza aggraziata mentre tu ammicchi–per–fregare–tutti–con–la–tua–dialettica–spiazzante; e dunque il tuo inconfondibile volto, come quello di Pippo Inzaghi nello spot pubblicitario che non si può nominare per ragioni che non starò qui a ricordare, sarà mai provato (sempre quel tuo volto) da tutto quello che ti capita sorprendentemente a giro? No, non credo, un tipo così sicuro e disinvolto e così gradevole come te: un esercente di elargizione prematura con ogni essere del creato (femminile possibilmente, bella gnocca è auspicabile: un formato di bellezza accecante tutta ben accessoriata di ogni tipo di grazia curvante e lettaralmente fuori di testa)... Vorrei, per curiosità, essere proiettato in quel tuo volto, così candido, così maledettamente stereotipato nelle sue pieghe curate di correttori abbatti–occhiaie–assolutamente–non–presentabili–perché–ignobili, da poter squadrare meticolosamente, da un obiettivo che dovrebbe essere a questo punto proprio il tuo, il tuo inconfondibile soggettivo, tutto quello che registri indiscriminatamente incapsulandolo selettivamente: quale emozione inaudita sarebbe vivere in prima fila tutto ciò... Ah, sospiro sospensorio, ah, emozioni a manetta... Speriamo che la tua amata compagna non ci sia mai, osservante curiosa, posizionata dalla parte di quell’obiettivo strategico, e sai: non si sa mai...Ma non lo diciamo a nessuno noi, macché scherzi? Figuriti (mutuando una tipica e altamente confidenziale espressione utilizzata dalla mie parti per esprimere una piena quanto longeva rassicurazione mentale, solo mentale però). Sotto sotto tutti noi sappiamo che tu hai sempre avuto quest'aria da precoce birbantello e sbarazzino accalappiatore di sterminate opportunità: "ma è certo, ma è certo", si sente spesso ripeterti: quale lusinga ascoltare una melodia di siffatte fattezze: l’orgia calmierante dell’origliare... Dopo questa disquisizione estemporanea, meriterei un degno saluto, di quelli sinceri però, perché anche il mio di saluto lo è maledettamente; e allora, spero un giorno di incontrarti nuovamente, con un serbatoio bello pieno di meticolosità, di quelle sofisticate che vengono solitamente riservate in vista delle grandi occasioni, e di toccare con mano tutto questo impeto descrittivo e lodante che viene dettato dalla mia mente frenetica su queste mie povere parole frastornate da tanto rispetto nei tuoi confronti. Un saluto a te, dunque, oh mio ideal-tipico modello inavvicinabile di uomo economico utilitaristico di successo (solo però se rientra nella meta-categoria di “selvaggio”).

Nessun commento:

Posta un commento