domenica 6 ottobre 2013

Non tutte le stelle sono pulsanti #1

Si ritrovò sotto un cielo oscuro, fitto di nuvole cerebrali e minacciose. La gravità di quel cielo, che incombeva imponente sferragliando qua e là saette luminose, lo indusse a cercar subito un riparo. Era un tardo pomeriggio di una domenica qualunque, una lenta e apparentemente insignificante domenica del falso riposo: la celebre giornata che al calar del sole vive in funzione del suo giorno venturo. Incominciò a correre, percorrendo all’impazzata viottoli acciottolati conosciuti, e prima che se ne accorgesse era già zuppo di se stesso, grondante di stupore per lo scampo appena afferrato. Quasi incespicando, e con smania frettolosa, si inoltrò a capofitto nel solito bar della piazza all’angolo, “Da Ninni”, un locale anni ’70 che persisteva ancora vivido alle intemperie del tempo. Chiese all’immancabile barista la consueta birra, leggera e luminosa, schiumosa e sempre rassicurante. Non esiste nulla paragonabile al primo sorso di birra, pensò. Si sedette. Il bar era languidamente frequentato. Visi conosciuti e dinamiche sociali di routine si estrinsecavano in un dolce balletto indifferente, la tipica ballata scanzonata che accompagna il giorno che muore. Centellinava con rispetto la sua birra, e le diverse scanalature che il liquido dorato formava sulla parete del bicchiere lo riportavano con lo sguardo ai finestroni di fronte, opachi e bagnati di pioggia che quel cielo violentemente buttava giù. Pensava. Quei ritmi altalenanti tra dentro e fuori cercavano di accordare il suo animo, tentavano a stento di predisporlo ad una sorta di stasi pre-notturna, in cui si cerca di divagare con moderazione per non finire preda di facili rebus irrisolvibili. Tale combinazione però risultò vana. La sua vita, da tempo, era diventata una registrazione scontata di attimi consunti, azioni di provincia che non lasciavano spazio a cambiamenti di rotta repentini. Tutto era definito e conosciuto, stabilito a priori sin nei minimi dettagli. Solo la birra rappresentava il suo conforto quotidiano, insostituibile, benché il suo gusto non cambiasse di una virgola, nei secoli dei secoli, così sia! Questa rilassante cerimonia lo accompagnava solitamente dopo lavoro, ogni giorno, ma quel pomeriggio fece finta di parteciparvi per caso, con la scusa di quel cielo capitato lì, reietto, gravido di nuvole piangenti. Pensava. Sollevava il bicchiere, sorseggiava e lo riponeva con cautela sul banco: tutti gesti automatici che gli consentivano quel passo in più a fronte della scorreria iraconda dei suoi pensieri affannati. Si proiettò così oltre quell’atmosfera imbevuta di noiosa normalità, adagiandosi con la mente in un posto lontano, dove il chiarore della luna lambiva un litorale frastagliato e tutto filava liscio come seta morbida di brezza. Era la magica notte di San Lorenzo, quando una moltitudine di gente è solita raggrupparsi attorno a fuocherelli illegali e cerca, nell’attesa, di conquistare un bagliore di felicità con l’avverarsi di un desiderio inespresso, che ha come corrispondente illuminato la scia di una stella infuocata che ammicca da lontano per poi sparire per sempre. In quella serata voci suoni e musica accompagnavano l’andirivieni del mare, con schizzi di acqua giocosa che si alternavano, festosi, ai tintinnii di bottiglie aperte e subito pronte per essere vuotate. Il tutto segnato da umori e predisposizioni caratteriali differenti: c’era infatti chi preferiva muoversi e danzare a ritmi sguainati e lussureggianti e chi, al contrario, prediligeva una postazione più tranquilla e appartata, tutta propria, da dove si potevano cogliere, istantaneamente, i frutti cadenti di un cielo maculato di stelle. Lui se ne stava lì, seduto su un telo da mare, tranquillo e solitario, con le ginocchia raccolte al petto e i piedi intascati in una sabbia umida e fine, e osservava. Nel vivido trambusto di una spiaggia in effervescenza riuscì a distinguere nettamente la figura di una splendida ragazza, che danzava e si contorceva dal ridere, proprio perché di lì a poco si sarebbero realizzati alcuni simpatici intenti: mini-mongolfiere con lumini incorporati venivano pian piano abbandonate all’accoglienza del cielo, sospinte dolcemente in alto dall’ilarità collettiva che si sfumava in melodia silenziosa, un silenzio criptato di pace verso l’universo lontano e misterioso. Mentre lei trafficava nei suoi movimenti più disparati la sabbia accoglieva i suoi piedi nudi come dono, per poi restituirli ad un tracciato labile ma riconoscibile, in cui la traiettoria disegnata dei suoi passi dispensava a tutto tondo cerchi di felicità animata. I mori capelli ondulati le incorniciavano un viso luminoso e particolare, dai tratti inconfondibilmente delicati. Il luccichio sfrontato dei suoi occhi marroni destava un fascino arcaico, come se fosse stato per tanto tempo sepolto sotto fiumi di lacrime in piena e, proprio allora, si rianimava libero audace e consapevole. Aveva un corpo sinuoso e formoso allo stesso tempo, difficile da trascurare. La leggera pressione del costume sulla sua pelle creava facilmente, all’occhio di un osservatore maschio anche distratto, fantasie bramose di ogni sorta. Chiunque, a primo acchito, avrebbe pensato ad una ragazza piacevole e dai modi gentili, con cui senza difficoltà si sarebbe potuta intavolare una conversazione di ogni tipo: dai massimi sistemi che governano subdolamente il mondo alle frivolezze scherzose di battute compiacenti. Era, sotto molti aspetti apparenti, il prototipo congeniale della ragazza perfetta. (continua parte #2...)

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