domenica 20 ottobre 2013

La sciabola del giorno dopo

– Oh, bella Vez! Com’è?
– Insomma; ho solo una sciabola conficcata nel cranio.
– Io non vedo nulla! E dov’è?
– Sarebbe molto produttivo localizzarla, almeno si potrebbe estrarla una volta per tutte e pace. Tu che dici?
– Capisco, capisco. E dimmi un po’, non per essere troppo indiscreto, ma come te la sei procurata una sciabolata tanto invisibile quando visibilmente dolorosa? Stando alle espressioni lancinanti che manifesta e comunica il tuo corpo, (che, non vorrei dirtelo, ma si sta raggomitolando fremente) le cose lì dentro non dovrebbero andare alla grandissima... Che diavolo hai combinato ieri sera?
– Bella domanda Vecio. Beh, cosa dirti... È evidente che le cose ieri sera sono sfuggite parecchio di mano; sai, un giro lì un giro là e ti perdi nei meandri dei tuoi piccoli mondi... E per di più con la vicinanza mentale della buona compagnia: un’esplosione euforica, sillaba per sillaba. Quindi non potresti immaginare scenario migliore: tu assieme ai tuoi arti che si muovono con la leggiadria del primo momento vissuto, così impacciato, infantile e infinitamente etereo. E poi boom! Un abisso di sonno e stanchezza che ti riporta sul selciato della vera vita, conducendoti dritto dritto al baratro dell’immobilità assoluta: una spugna che deve rilasciare tutto il marcio che la appesantisce, letteralmente, per poter riprendere un seppur minino e goffo tentativo di re-azione.
– Strano che proprio quel, come lo chiami tu, “marcio” nel giro di poche ore si tramuti da fluido della quintessenza trasportatrice e orgiastica a veleno in corpo che ti immobilizza come un ebete appassito. È un’associazione bizzarra quest’ultima, che potrebbe benissimo inglobare ogni minima sequenza esperienziale che avviene su questo pianeta.
– Si può sapere cosa blateri? Le tue parole mi arrivano a imbuto: così lente e a gravità sottile che non riesco a decifrare il complesso del discorso in cui stai cercando invano di inglobarmi. Parla più a cascata, così almeno mi sveglio un po’! (Senza sputare, sia bene inteso).
– Sai cosa intendo: le questioni trite e ritrite su cui ci imbattiamo ciclicamente: l’amore, l’amicizia estemporanea, un’esperienza davvero toccante e sorprendente: tutte vanno a finire con la mappazza in bocca. E devi stare lì, giorni interi, per smaltire tutto per bene e uscirne “lucidato”... Le cose belle, oserei concludere, portano sempre con se un’alitata pestilenziale di rammarico stantio. Ad un certo punto non ne puoi più: necessiti, inesorabilmente, di abbeverarti alle fonti della rigenerazione mentale... Dopodiché è meglio anche se ti fai una bella doccia, e veloce.
– Sì, lo so: puzzo come una vacca svizzera che mastica circolarmente poltiglia d’erba a loop.
– Sei fortunato Vez: ho un fortissimo raffreddore che ora ti trasmetterò per forza di cose, date che le tue barriere immunitarie, al momento, sono belle e gonfie come te: in bomba piena, per intenderci.
– Sai cosa puoi fare per me, invece di stare qui, trasmettermi il tuo stramaledetto raffreddore e cincischiare roba senza senso sull’universalità di questa condizione che è solo mia e particolarissima e vivissima, se ci pensi, ricordandoci che qui ho ancora la sciabola irruente conficcata e che, praticamente, non mostra alcun segno di pietà tollerante?
– Dimmi tutto Vez! Macché scherzi? C’è pure da chiedere?
– Bravo bambino... Che dici? Me lo faresti un vivace salto giù dall’amico Paki? In modo da portarmi gentilmente su un bel bottiglione di Coca ghiacciata? Sarebbe una manna dal cielo, veramente: l’unica vera soluzione ad ogni tipo di fastidioso problema. Ne “La spada della roccia” la soluzione è la Coca-cola, non c’è ombra di dubbio: sgrassa qualsiasi tipo di infermità calcarea!
– Volo! E sogna lappante, che arrivo immediatamente.
– Bella, bella, questa mi è piaciuta (con indice alzato e dondolante in segno di indiscussa approvazione).

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