Sono
a terra, sento che sono a terra. Sono lastricato, nient’altro.
È tutto
buio attorno a me: la risacca del mare non c’è e l’asfalto mi stride in viso,
severo. Tanto bella era la spensieratezza; peccato che se l’è portata via il
vento, con le sue ragioni, e le sue giornate animate d’agosto, quando il
fervido pullulare della sera andava risposandosi in quella candida stanchezza
meritata a fine giornata e che non chiedeva più nulla, no, più nulla, se non il
richiamo disinteressato di enormi e invisibili cicale nel loro battibecco infinito,
un rimando ancestrale tremendamente confortante.
Un
battito sordo, un tumulto appena passato, una confusione che lambisce le sfere
della coscienza. E poi una luce, un’inspiegabile luce mi rischiara in viso e
viene a cercarmi. Un soccorso repentino probabilmente, non saprei, ma chiaramente un-autentico-dono-salvifico.
Quando
penso che sia tutto finito e non c’è davvero più nulla che si possa fare è
proprio allora che si presenta la forma del riscatto, quello scatto umano che
si riflette in una consapevolezza nuova, quella stessa che percepisci e che non
sapevi minimamente di avere, prima. Sembra come se si sia formata a tua
insaputa, pazientemente, nel rovo di una fucina lenta e saggia, che vuole darti
consiglio, che prova a bisbigliarti ogni tanto, ma solo quando il suo pulsare è
ancora timido e inesperto ai tuoi occhi, e sarà proprio per questo che,
probabilmente, in quei primi immaturi frangenti, ne ignori completamente l’esistenza.
Tutto
non è mai perduto, e se giaci al suolo e ancora respiri vuole dire che puoi
rialzarti, prima o poi, con calma, puoi prenderti tutta la calma di questo
mondo, il tempo c’è, c’è sempre stato...
Ho
sempre pensato di avere un obiettivo nella vita, uno scopo prioritario: fare
bene quello che sapevo fare meglio: impegnarmi, lavorare sodo, cercare
curiosamente l’inspiegabile di uno spettacolo troppo forte per essere recepito
tutto d’un fiato: la vita.
Ora,
invece, mi ritrovo ad essere svuotato della mia essenza, di quell’unico senso
che mi aveva sviluppato il mondo dinnanzi. E allora combattuto e chino reggo,
al cospetto di una realtà all’apparenza vuota, la mia formazione, dettata dal
ritmo di quel passato effervescente e carico di un esperienziale tutto mio,
personale. E mi domando quanto ne sia valsa la pena, sì, quanto per la miseria,
sì: questo costantemente mi chiedo.
Chi
come me appartiene a queste generazione bruciata di diseredati dalle emozioni,
dai desideri, dall’impulso vitale, questiona costantemente riguardo al suo
futuro, un futuro gravido di incertezze: un chiodo fisso. Chi come me, dopo
anni passati nel nomadismo più sfrenato di questa vita, si domanda se tutto il
contenuto di senso di quegli attimi sacrificati alla propria gioia, alla
propria tranquillità, alla propria spensieratezza, possa essere reso spendibile
in un sistema sociale esterno che possa offrirgli, dopotutto, finalmente, un misero e sorprendente qualcosa: oggi questa domanda, a conti fatti e col senno di poi, può sembrare
abbandonata, del tutto inevasa, di fronte ad una complessità fatta della stessa
materia di quell’asfalto: severa. Una complessità a cui non siamo stati neppure lontanamente educati; sta qui il problema: la società è implosa – in quella sua nebulosa di
astri maculati e così confusi – e noi, per l’amor del cielo, non siamo stati
educati minimamente a cotanta complessità. Nei fatti non la conosciamo; manco
riusciamo a immaginarcela (che è la cosa più importante).
Tuttavia,
nulla è ancora così perduto. C’è ancora la gente, le gente come te, e io – si
possa dire e pensare quello che si vuole – io credo sempre nella gente,
brutta o bella che sia (brutta e bella per e in ogni accezione). E c’è ancora l’Europa,
mamma Europa. Un esperimento mai concepito prima da luminari che ripudiavano in
tutte le sue forme la guerra; nelle sue gestualità, nei suoi ritmi, nei sui
malsani tatticismi strategici: la sua inumana politica andava a colpire proprio
il contrario di ciò che dovrebbe sbandierare e rendere realizzabile la vera politica, quella seria,
ovvero: il bene comune, il bene di tutti noi.
E quindi...
Ampio respiro, fratellanza dei popoli, uguaglianza di diritti che surclassano i
confini, affinché quest’ultimi non si traducano nella vera piaga del mondo
globalizzato attuale: la disuguaglianza sociale senza esclusione di colpi; quella
disuguaglianza che etichetta la gente innocente di colpe inesistenti: colpe create su
misura per escludere. Questa piaga – la disuguaglianza sociale – purtroppo, è
ancora definita e normata entro dei confini nazionali, all’interno di Stati-nazione che
pretendono di bacchettare la vera essenza che ci unisce tutti: la
consapevolezza e la forza di avere gli stessi diritti vitali su questo pianeta
che stiamo martoriando, silente ma incazzoso nelle sue impetuose manifestazioni
naturali che, violente, si sbarazzeranno del suo unico e vero cancro: il nostro
dannoso e vigliacco lato oscuro che ormai ha superato davvero ogni limite.
E allora
via i confini! Prendete una gomma bella grande e fate festa sdrucciolando in
lungo e in largo tutte queste linee complicate e insignificanti: bisogna
sconfinare! E mamma Europa ci sta indicando la via: poveri illusi chi non trae
da Lei il vero senso dell’umanità che cerca di prendere corpo, di darsi un
tono. Serve l’anima a tutto questo processo, affinché si sviluppi e perduri nel
tempo. Ma l’anima dobbiamo mettercela noi, con l’impegno di tutti,
collaborando, assieme, nelle e fra le nostre straordinarie diversità.
“I nuovi saperi frutto dell’opera dell’intelligenza
collettiva nascono in zone periferiche e mute. Sono destinati alla marginalità
rispetto al pensiero dominante, ma se qualcuno li osserva, li racconta e li
connette, la realtà può modificarsi. È vero che non ci sono maree di cittadini
smaniose di liberarsi: la libertà (e la responsabilità che porta con sé) è
ansiogena. Proprio questa condizione apre uno spiraglio. È il tema antico posto
da Marx: se sono io stesso a co-produrre la mia alienazione, su questo spazio
di libertà si può lavorare. C’è sempre una possibilità di (r)esistenza. Paul
Freire diceva che bisogna creare il desiderio di libertà fra gli oppressi,
restituire soggettività alle persone. Se si raggiunge una massa critica di
nuovi comportamenti, questi potranno produrre cambiamento sociale al di là
delle leggi e delle intenzioni dei governanti e dei finanzieri. Al di là non vuol
dire contro [chiaro Grillini? Altrimenti riscrivo pazientemente di nuovo l’inequivocabile
stralcio di citazione], ma semplicemente
che la liberazione dell’intelligenza collettiva favorisce il re-innesco di
circoli virtuosi disattivati a causa dello sfibramento dei legami sociali e del
dominio della razionalità strumentale.” (Mazzoli, 2014).
E
allora? Cosa stiamo aspettando? Il mio asfalto ora è lontano: è proprio sotto i miei
piedi. Viene illuminato per giunta dal mio spiraglio di luce: trovatevi anche
voi il vostro, o il vostro cercherà voi.
Ordunque: osservare, raccontare, connettere: la realtà può davvero modificarsi. Ciao.
Ordunque: osservare, raccontare, connettere: la realtà può davvero modificarsi. Ciao.