Un dialogo qualunque tra due conoscenti qualunque in un posto di traffico qualunque all’occorrenza di una festività qualunque in una città che rivede volti di persone partite qualunque (due uomini o due donne; oppure un uomo e una donna: non fa alcuna differenza).
- Ohilà, da quanto tempo! Quando sei arrivato/a? Come stai?
(Affermazione di finta gradita sorpresa, ovviamente. E poi... Domande in successione piuttosto insignificanti accompagnate da due baci guanciali ritmati, prima a destra e poi a sinistra (e poi di nuovo a destra, se ci troviamo al nord) – non il contrario, non sia mai: non ci troviamo mica in Francia dove tu, italiano, abituato ad una sorta di automatismo nella scelta della TUA di direzione, potresti incappare benissimo – dato che ci sarebbe sicuramente una specie di fraintendimento sociale nel saluto – in un non-voluto – e anche abbastanza imbarazzante – bacio a stampo; salvo, ovviamente, i casi in cui le persone che si incontrano in quel frangente si possono anche piacere il giusto e quindi, quel bacio a stampo e/o a striscio, alla fine, non è poi così imbarazzante, anzi...)
- Sono arrivato/a qualche giorno fa; ora non me lo ricordo, a dire il vero... Comunque tutto bene grazie, e tu?
(Risposta decisamente improvvisata, elusiva se proprio vogliamo dirla tutta. E poi... Altra domanda davvero solo di circostanza che, generalizzando troppo, non potrà mai ricevere una risposta esatta e particolareggiata: riceverà, diversamente, sempre una stessa risposta uguale e contraria: uguale perché a quella succederà, per forza di cose, una risposta identica; contraria perché proviene dall’altro/a interlocutore/trice che si “oppone” al primo/a in termini di posizionamento, solo per questo. Quindi possiamo affermare che la prima parte dell’incontro si inserisce, necessariamente, in un campo dialogico particolarmente indefinito: il senso di tutto questo viene individuato, solamente, in quello che viene chiamato solitamente “riconoscimento di tipo sociale”; nulla di più, nulla di meno.)
- Tutto bene, grazie... Non c’è male! Anche se, sai, è un periodo un po’ così...
(In questo caso si presenta il classico dei paradossi che viene sempre, e dico sempre, legittimato dalla maggior parte delle persone che quasi inconsapevolmente lo avanzano e lo ricevono, ovvero: non si sa perché, nella maggior parte dei casi, non c’è male in generale, e quindi stiamo parlando di una sensazione tutto sommato positiva che proviamo nei confronti dell’indefinito – perché, in questo caso, abbiamo stabilito che il parlare troppo in generale porta, alla lunga, alla vaghezza del dialogo che si sta affrontando; però quando poi si incomincia a pilotare il dialogo sul personalizzato e sul particolareggiato (cosa che avviene quasi naturalmente procedendo nel vivo del dialogo) anche qui, non si sa perché, viene detta sistematicamente la cosa esattamente opposta “Sai, è un periodo un po’ così”, che di per sé vuol dire tutto e nulla: però, dal tono mesto e cupo in cui il tipo/a lo espone, fa intendere all’altro/a interlocutore/trice che, insomma, non se la sta spassando proprio bene – o forse, e forse a dire il vero è molto probabile, è solo uno dei quei tanti casi di auto-vittimizzazione forzata per ogni cosa che, come in ogni tipo di società opulenta, ci parla della costante e pregnante e insita insoddisfazione dell’ Umano preso nella sua generalità di Essere, che riscontra sempre e ostinatamente l’infelicità nella propria condizione di vita.)
- Ohilà, da quanto tempo! Quando sei arrivato/a? Come stai?
(Affermazione di finta gradita sorpresa, ovviamente. E poi... Domande in successione piuttosto insignificanti accompagnate da due baci guanciali ritmati, prima a destra e poi a sinistra (e poi di nuovo a destra, se ci troviamo al nord) – non il contrario, non sia mai: non ci troviamo mica in Francia dove tu, italiano, abituato ad una sorta di automatismo nella scelta della TUA di direzione, potresti incappare benissimo – dato che ci sarebbe sicuramente una specie di fraintendimento sociale nel saluto – in un non-voluto – e anche abbastanza imbarazzante – bacio a stampo; salvo, ovviamente, i casi in cui le persone che si incontrano in quel frangente si possono anche piacere il giusto e quindi, quel bacio a stampo e/o a striscio, alla fine, non è poi così imbarazzante, anzi...)
- Sono arrivato/a qualche giorno fa; ora non me lo ricordo, a dire il vero... Comunque tutto bene grazie, e tu?
(Risposta decisamente improvvisata, elusiva se proprio vogliamo dirla tutta. E poi... Altra domanda davvero solo di circostanza che, generalizzando troppo, non potrà mai ricevere una risposta esatta e particolareggiata: riceverà, diversamente, sempre una stessa risposta uguale e contraria: uguale perché a quella succederà, per forza di cose, una risposta identica; contraria perché proviene dall’altro/a interlocutore/trice che si “oppone” al primo/a in termini di posizionamento, solo per questo. Quindi possiamo affermare che la prima parte dell’incontro si inserisce, necessariamente, in un campo dialogico particolarmente indefinito: il senso di tutto questo viene individuato, solamente, in quello che viene chiamato solitamente “riconoscimento di tipo sociale”; nulla di più, nulla di meno.)
- Tutto bene, grazie... Non c’è male! Anche se, sai, è un periodo un po’ così...
(In questo caso si presenta il classico dei paradossi che viene sempre, e dico sempre, legittimato dalla maggior parte delle persone che quasi inconsapevolmente lo avanzano e lo ricevono, ovvero: non si sa perché, nella maggior parte dei casi, non c’è male in generale, e quindi stiamo parlando di una sensazione tutto sommato positiva che proviamo nei confronti dell’indefinito – perché, in questo caso, abbiamo stabilito che il parlare troppo in generale porta, alla lunga, alla vaghezza del dialogo che si sta affrontando; però quando poi si incomincia a pilotare il dialogo sul personalizzato e sul particolareggiato (cosa che avviene quasi naturalmente procedendo nel vivo del dialogo) anche qui, non si sa perché, viene detta sistematicamente la cosa esattamente opposta “Sai, è un periodo un po’ così”, che di per sé vuol dire tutto e nulla: però, dal tono mesto e cupo in cui il tipo/a lo espone, fa intendere all’altro/a interlocutore/trice che, insomma, non se la sta spassando proprio bene – o forse, e forse a dire il vero è molto probabile, è solo uno dei quei tanti casi di auto-vittimizzazione forzata per ogni cosa che, come in ogni tipo di società opulenta, ci parla della costante e pregnante e insita insoddisfazione dell’ Umano preso nella sua generalità di Essere, che riscontra sempre e ostinatamente l’infelicità nella propria condizione di vita.)
- Capisco, capisco. Questo periodo non è facile per nessuno. Io, da parte mia, tiro avanti...
(“Capisco, capisco”, altra classica espressione di circostanza, che cerca di tenere le distanze dall’altro/a interlocutore/trice per non inoltrarsi troppo in un terreno che potrebbe essere benissimo minato: infatti se questo tipo/a avesse risposto diversamente, facendo intendere quindi che voleva, diciamo così, interessarsi un tantino di più al presunto “malessere” dell’altro/a, sarebbe stato per lui/lei letteralmente la fine: vale a dire uno “sfogo pluviale” dell’altro/a che non si sarebbe più contenuto e che non avrebbe conosciuto argini per preservare la sensibilità di chi stava lì intento/a ad ascoltarlo/a (seppur malvolentieri). Oppure, potrebbe benissimo accadere che, ad una risposta di interessamento sempre al famigerato “malessere”, l’altro/a (che ha avanzato questa sua situazione di malessere) si troverebbe enormemente spaziato/a e, proprio per questo motivo, inventerebbe qualsiasi tipo di risposta che, in un certo qual modo, cercherebbe di metterci-una-pezza e di giustificare il suo dichiarato “periodo un po’ così”. E poi... “Tiro avanti”, altra tipica espressione metaforica che metaforica proprio non è perché, in un certo senso, non si capisce cosa si stia “tirando”, dato che il periodo “non è facile per nessuno” e, dunque, non sapendo qual è la zona più florida dove cercare o in cui barcamenarsi, non si sa letteralmente che pesci pigliare e, quindi, in ultimo, cosa di preciso tirare alla lenza.)
- Bene, bene: sono contento dai! Cosa farai di bello in queste feste?
(“Bene, bene” non si sa per cosa... E poi “Sono contento” di ché? Probabilmente di aver incrociato il suo interlocutore/trice per caso per strada – ma di questo, è facilmente intuibile, si potrebbero nutrire parecchi dubbi. L’ultima domanda non è altro che un modo come un altro per velocizzare il congedo e rendere meno indolore tutto l’incontro.)
- Nulla di ché, solita roba... A Natale in famiglia e poi a capodanno ora vediamo... Tu? Che farai?
(Una risposta a dir poco azzeccata che intuisce la volontà di congedo dell’altro/a interlocutore/trice e che va decisamente sul sicuro rifugiandosi nel banale luogo comune trito e ritrito che non delude MAI, e cioè: "Natale in famiglia e di Capodanno non si sa mai nulla fino al momento prima".)
- Si, penso lo stesso anch’io. A capodanno, invece, volevamo andare da qualche parte, giusto così per fare qualcosa di diverso... Ma sai poi, sempre per questo periodo un po’ così che è capitato, abbiamo deciso alla fine di non fare nulla di ché e di festeggiare in compagnia dei soliti amici.
(In realtà non aveva pensato proprio a nulla di tutto ciò, e cioè di voler fare un capodanno fuori e compagnia bella... Lo dice solo perché fa più fico! E poi c’è sempre “Il periodo un po’ così” che è una sorta di panacea al contrario contro tutte le cose positive che possono capitare. E quindi quando queste cose positive proprio non si ha voglia di metterle in pratica si ricorre a questo famigerato periodo un po' così – perché è vero che il positivo viene nella maggior parte dei casi per una botta di culo; ma è anche vero che le positività della vita arrivano quando uno si mette d’impegno nel volerle attualizzare, chi prima chi dopo.)
- Bene, allora.. Tante cose eh? Saluti a casa. Mi auguro di vederti presto, prima o poi.
(Il “Prima o poi” finale parla da sé: tutto ciò che lo precede non è altro che una finzione socialmente architettata che, per avere un lascito di coscienza pulita per chi lo espone, culmina in quel “prima o poi” che può significare anche benissimo molto più un “poi” che un “prima”...)
- Anche a me, davvero, ha fatto molto piacere rivederti... A presto allora, ciao! E saluti alla tua famiglia!
(Qui, invece, la funzione svolta prima dal “ prima o poi” viene ulteriormente semplificata con “davvero”, concludendo in questo modo il fugace e “tanto colmo di piacere” incontro tra i/le due. Il tutto viene suggellato da un contatto finale (strette di mano; oppure baci guanciali: dipende dalle circostanze e dai casi di genere) che parla proprio apertamente, anche se tacitamente, del vero piacere desiderato sin dal primo momento in cui i/le due si sono casualmente incontrati/e; e cioè: “Che bello, finalmente: questo è il segnale che mi dice che la “convenzione sociale” che governa per forza di cose l’incontro casuale da tra due conoscenti è terminata: posso finalmente essere me stesso, individuale...” Non proprio così, però si penserebbe una cosa del genere. Diffidate, quindi, da chi solitamente e con tanto vanto vi dice: “Io dico sempre quello che penso”... Se non si tratta di un soggetto che soffre di alterazioni delle proprie facoltà psichiche e/o mentali, oppure di un soggetto diversamente abile nel concepire e nel costruire la propria realtà sociale, allora questa affermazione che riempie solo la bocca di chi la dice non è del tutto vera.)