lunedì 2 dicembre 2013

L’ipertestualità ci appartiene

Mi occorrono più parole e più parole ancora per descrivertelo, non so come dirti. Sto cercando di spiegare cosa mi sta passando per la mente in questo preciso momento e tu non lo saprai mai di preciso che cosa in questo momento ci sta passando, se non cerco di rendertelo leggibile, raffigurabile, io, a parole mie, con tutto quanto ciò che sempre in questo preciso momento dovrebbe essere in mio precario quanto tangibile possesso, almeno stando a quello che gli esperti dicono. Sembra un’assurdità, ma è un esercizio di funzionamento esplicativo tremendamente difficile se ci pensi, al cospetto delle tue orecchie che ascoltano e dei tuoi occhi che osservano, quegli occhi che impercettibilmente cercano anche di cogliere le movenze di quelle sonorità che provengono da quelle mie parole a fatica concatenate e che, guarda caso, si fanno addirittura gesto per venirti in contro, pensa un po’: siamo delle roccaforti di pensiero indipendenti e cerchiamo continuamente di gettare ponti in qua e in là per cercare di farci capire, tutt’al più; ma, in realtà, quando ci capacitiamo per rendere possibile tutto ciò arriva solo una coda di bagliore di quello che la nostra mente ha così ingegnosamente architettato per rendersi fruibile. E questo non vuol dir certo che io ci riesca per davvero a fare tutto quanto questo, sappilo. Devi cercare di immaginare ponti che si costruiscono per attingere e dunque per accumulare, ma anche ponti per comunicare la risorsa esterna agli altri, ponti che si presuppone, alla cieca, siano possibilmente solidi e stabili, ma anche suscettibili di quelle vibrazioni afferenti il consenso e il dissenso per rimanerci in piedi, sai, non si sa mai, in base ai casi. Non si tratta più di gestire il lineare delle informazioni e renderle altrettanto lineari in uscita, a quel nostro interlocutore diretto o a quella schiera di potenziali interlocutori che sono lì e attendono con occhioni sornioni le risposte alle nostre bizzarre e animalesche movenze. Si tratta, più che altro, di rendere spendibile il concreto funzionamento della nostra mente che pesca alla rinfusa e crea altre connessioni che derivano da altre afferrate in precedenza: parliamo, per farla breve, di connessioni di connessioni che si connettono con un altro tipo di connessioni attivate precedentemente da molto più lontano e sì, lo so, anche tu c’hai ragione, è piuttosto un gran casino riuscirci a cavarci qualcosa, in base ai casi. E cerca di capirmi però quando te lo dico: un resoconto dettagliato di tutto ciò sarebbe pressappoco impossibile attuarlo, anche se ci metto tutta la premura di questo mondo, e lo sai che, in fondo, e questo spero che riuscirai a farlo tuo, lo sai nel tuo intimo che ti voglio bene. E dunque collegamenti che si trasformano in verbo, rimandi di parole che disegnano altrettanti mondi paralleli: devo raffigurarti e dipingere, per mezzo di pennelli inzuppati di cerebrale, il caleidoscopio che c’ho in testa per fartelo capire, e devo rendertelo più intellegibile che posso affinché vi sia una presunto incontro conoscitivo tra noi due, qui ed ora, che così a raccoglimento ci studiamo amorevolmente in volto, seduti a dialogo, sorseggiando un tè caldo i cui fumi lenti e ascensionali aleggiano dietro una finestra riparata dal frastuono raggelante di un inverno prorompente. E devo cercare di fare tutto ciò attraverso quella minuta cassetta degli attrezzi che conosco solo io e che a te è completamente fuori portata, credimi, non so come spiegartelo, perché semplicemente si tratta di attrezzi che so usare solo io, e no so credimi il perché; forse perché vengono forgiati da una formazione esperenziale tutta mia e sola mia, insomma: questo è quello che chiamano la portata individuale, nulla di più. Quello che chiamano “il background personale” cerca di svelarsi e di emergere e di fecondare in pensieri prima e in parole poi, in un miscuglio singolare e sui generis che avrà un suo risvolto reale o immaginifico, o tutte e due assieme se è necessario, sempre in base ai casi. La mia mente perciò, come la tua di certo (ma posso solo immaginare in quale altra inconsueta combinazione), funziona un po’ come un motore di ricerca, e attraverso immagini e la ricerca di parole e di significati ad esse sottesi è una spugna di ipertesto che rilascia liquidi conoscitivi, e tu mi capirai quando cerco di farti arrivare il mio filtrato afflusso di pensiero, perché è di amorevoli filtri costruiti con la dovuta cura che stiamo parlando. Devo ogni volta trovare quei filtri congeniali che mi consentono di governare l’ingovernabile, di ordinare la complessità assordante che si fa caos, e si catapulta senza mezzi termini contro di me, e per me, affinché io possa spiegarmi con te. E poi quei filtri che ho fatto miei a fatica devo renderteli più filtrati di prima, e si tratta di un tipo d’amore per l’altro che non tutti proprio riescono a possedere. L’ascolto attivo è il riuscire a mettersi nei panni dell’altro. L’empatia non è altro che cercare di comprendere quella fatica che contraddistingue il tuo interlocutore, e dirgli poi semplicemente: “Sì ok ti seguo. Ma aiutami anche tu a seguirti perché più in là potrei non poterlo più fare”. Il mettere nelle condizioni l’altro di emergere e di farsi suo e potersi donare in quei termini così peculiari è tutt’altro che farsi una passeggiata disinteressata: questa è la vera ricchezza del discorso conoscitivo e reciproco. E non importa dove sei, ma importa con chi ti trovi, e se quel tè è ancora caldo e fumante, intervalla tutti quei pensieri e cerca di prenderti una pausa una volta ogni tanto, perché ci vuole molto tempo per collegarti alle connessioni di chi ti sta parlando. Prenditi quel tempo e attendi, e vedrai che, assieme, i vostri scambi di parole usciranno dal loro recinto e andranno ad immettersi in quei movimenti umani che vedi in questo momento proiettati da quella finestra: perché, se trattati bene e con la massima cura, andranno a suggellare lo sposalizio discorsivo che fa muovere tutta quella gente incappucciata per strada, tutta racchiusa in protezione dal freddo: tutta quella gente che, come te, non vede l’ora di padroneggiare i propri ipertesti mentali al caldo, in compagnia, solo con l’intento finale di dare un seppur lontano minimo contributo alle movenze di tutto quanto il mondo che verrà, assieme.     

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