martedì 31 dicembre 2013

L'intima falsità del riconoscimento sociale

Un dialogo qualunque tra due conoscenti qualunque in un posto di traffico qualunque all’occorrenza di una festività qualunque in una città che rivede volti di persone partite qualunque (due uomini o due donne; oppure un uomo e una donna: non fa alcuna differenza).


- Ohilà, da quanto tempo! Quando sei arrivato/a? Come stai?
(Affermazione di finta gradita sorpresa, ovviamente. E poi... Domande in successione piuttosto insignificanti accompagnate da due baci guanciali ritmati, prima a destra e poi a sinistra (e poi di nuovo a destra, se ci troviamo al nord) – non il contrario, non sia mai: non ci troviamo mica in Francia dove tu, italiano, abituato ad una sorta di automatismo nella scelta della TUA di direzione, potresti incappare benissimo – dato che ci sarebbe sicuramente una specie di fraintendimento sociale nel saluto – in un non-voluto – e anche abbastanza imbarazzante – bacio a stampo; salvo, ovviamente, i casi in cui le persone che si incontrano in quel frangente si possono anche piacere il giusto e quindi, quel bacio a stampo e/o a striscio, alla fine, non è poi così imbarazzante, anzi...)

- Sono arrivato/a qualche giorno fa; ora non me lo ricordo, a dire il vero... Comunque tutto bene grazie, e tu?
(Risposta decisamente improvvisata, elusiva se proprio vogliamo dirla tutta. E poi... Altra domanda davvero solo di circostanza che, generalizzando troppo, non potrà mai ricevere una risposta esatta e particolareggiata: riceverà, diversamente, sempre una stessa risposta uguale e contraria: uguale perché a quella succederà, per forza di cose, una risposta identica; contraria perché proviene dall’altro/a interlocutore/trice che si “oppone” al primo/a in termini di posizionamento, solo per questo. Quindi possiamo affermare che la prima parte dell’incontro si inserisce, necessariamente, in un campo dialogico particolarmente indefinito: il senso di tutto questo viene individuato, solamente, in quello che viene chiamato solitamente “riconoscimento di tipo sociale”; nulla di più, nulla di meno.)

- Tutto bene, grazie... Non c’è male! Anche se, sai, è un periodo un po’ così...
(In questo caso si presenta il classico dei paradossi che viene sempre, e dico sempre, legittimato dalla maggior parte delle persone che quasi inconsapevolmente lo avanzano e lo ricevono, ovvero: non si sa perché, nella maggior parte dei casi, non c’è male in generale, e quindi stiamo parlando di una sensazione tutto sommato positiva che proviamo nei confronti dell’indefinito – perché, in questo caso, abbiamo stabilito che il parlare troppo in generale porta, alla lunga, alla vaghezza del dialogo che si sta affrontando; però quando poi si incomincia a pilotare il dialogo sul personalizzato e sul particolareggiato (cosa che avviene quasi naturalmente procedendo nel vivo del dialogo) anche qui, non si sa perché, viene detta sistematicamente la cosa esattamente opposta “Sai, è un periodo un po’ così”, che di per sé vuol dire tutto e nulla: però, dal tono mesto e cupo in cui il tipo/a lo espone, fa intendere all’altro/a interlocutore/trice che, insomma, non se la sta spassando proprio bene – o forse, e forse a dire il vero è molto probabile, è solo uno dei quei tanti casi di auto-vittimizzazione forzata per ogni cosa che, come in ogni tipo di società opulenta, ci parla della costante e pregnante e insita insoddisfazione dell’ Umano preso nella sua generalità di Essere, che riscontra sempre e ostinatamente l’infelicità nella propria condizione di vita.)

- Capisco, capisco. Questo periodo non è facile per nessuno. Io, da parte mia, tiro avanti...
(“Capisco, capisco”, altra classica espressione di circostanza, che cerca di tenere le distanze dall’altro/a interlocutore/trice per non inoltrarsi troppo in un terreno che potrebbe essere benissimo minato: infatti se questo tipo/a avesse risposto diversamente, facendo intendere quindi che voleva, diciamo così, interessarsi un tantino di più al presunto “malessere” dell’altro/a, sarebbe stato per lui/lei letteralmente la fine: vale a dire uno “sfogo pluviale” dell’altro/a che non si sarebbe più contenuto e che non avrebbe conosciuto argini per preservare la sensibilità di chi stava lì intento/a ad ascoltarlo/a (seppur malvolentieri). Oppure, potrebbe benissimo accadere che, ad una risposta di interessamento sempre al famigerato “malessere”, l’altro/a (che ha avanzato questa sua situazione di malessere) si troverebbe enormemente spaziato/a e, proprio per questo motivo, inventerebbe qualsiasi tipo di risposta che, in un certo qual modo, cercherebbe di metterci-una-pezza e di giustificare il suo dichiarato “periodo un po’ così”. E poi... “Tiro avanti”, altra tipica espressione metaforica che metaforica proprio non è perché, in un certo senso, non si capisce cosa si stia “tirando”, dato che il periodo “non è facile per nessuno” e, dunque, non sapendo qual è la zona più florida dove cercare o in cui barcamenarsi, non si sa letteralmente che pesci pigliare e, quindi, in ultimo, cosa di preciso tirare alla lenza.) 

- Bene, bene: sono contento dai! Cosa farai di bello in queste feste?
(“Bene, bene” non si sa per cosa... E poi “Sono contento” di ché? Probabilmente di aver incrociato il suo interlocutore/trice per caso per strada – ma di questo, è facilmente intuibile, si potrebbero nutrire parecchi dubbi. L’ultima domanda non è altro che un modo come un altro per velocizzare il congedo e rendere meno indolore tutto l’incontro.)

- Nulla di ché, solita roba... A Natale in famiglia e poi a capodanno ora vediamo... Tu? Che farai?
(Una risposta a dir poco azzeccata che intuisce la volontà di congedo dell’altro/a interlocutore/trice e che va decisamente sul sicuro rifugiandosi nel banale luogo comune trito e ritrito che non delude MAI, e cioè: "Natale in famiglia e di Capodanno non si sa mai nulla fino al momento prima".)

- Si, penso lo stesso anch’io. A capodanno, invece, volevamo andare da qualche parte, giusto così per fare qualcosa di diverso... Ma sai poi, sempre per questo periodo un po’ così che è capitato, abbiamo deciso alla fine di non fare nulla di ché e di festeggiare in compagnia dei soliti amici.
(In realtà non aveva pensato proprio a nulla di tutto ciò, e cioè di voler fare un capodanno fuori e compagnia bella... Lo dice solo perché fa più fico! E poi c’è sempre “Il periodo un po’ così” che è una sorta di panacea al contrario contro tutte le cose positive che possono capitare. E quindi quando queste cose positive proprio non si ha voglia di metterle in pratica si ricorre a questo famigerato periodo un po' così – perché è vero che il positivo viene nella maggior parte dei casi per una botta di culo; ma è anche vero che le positività della vita arrivano quando uno si mette d’impegno nel volerle attualizzare, chi prima chi dopo.)

- Bene, allora.. Tante cose eh? Saluti a casa. Mi auguro di vederti presto, prima o poi.
(Il “Prima o poi” finale parla da sé: tutto ciò che lo precede non è altro che una finzione socialmente architettata che, per avere un lascito di coscienza pulita per chi lo espone, culmina in quel “prima o poi” che può significare anche benissimo molto più un “poi” che un “prima”...)

- Anche a me, davvero, ha fatto molto piacere rivederti... A presto allora, ciao! E saluti alla tua famiglia!
(Qui, invece, la funzione svolta prima dal “ prima o poi” viene ulteriormente semplificata con “davvero”, concludendo in questo modo il fugace e “tanto colmo di piacere” incontro tra i/le due. Il tutto viene suggellato da un contatto finale (strette di mano; oppure baci guanciali: dipende dalle circostanze e dai casi di genere) che parla proprio apertamente, anche se tacitamente, del vero piacere desiderato sin dal primo momento in cui i/le due si sono casualmente incontrati/e; e cioè: “Che bello, finalmente: questo è il segnale che mi dice che la “convenzione sociale” che governa per forza di cose l’incontro casuale da tra due conoscenti è terminata: posso finalmente essere me stesso, individuale...” Non proprio così, però si penserebbe una cosa del genere. Diffidate, quindi, da chi solitamente e con tanto vanto vi dice: “Io dico sempre quello che penso”... Se non si tratta di un soggetto che soffre di alterazioni delle proprie facoltà psichiche e/o mentali, oppure di un soggetto diversamente abile nel concepire e nel costruire la propria realtà sociale, allora questa affermazione che riempie solo la bocca di chi la dice non è del tutto vera.)
  

Nessun commento:

Posta un commento