venerdì 13 dicembre 2013

Il manifesto dell’amore postmoderno

L’amore si sa: è l’amaro dolce conduttore che fa muovere le nostre anime, in un verso o nell’altro, pur non riuscendo mai e poi mai a identificarne il significato, il senso che si cela dietro questa misteriosa fascinazione che ci fa volare di stupore, di incantamento al principio, ma che poi, quasi all’improvviso, ci schianta senza mezzi termini sul tappeto del rimpianto. “L’amore opera in segreto i suoi incanti, le nostre decisioni sono irrilevanti”; questo aforisma cerco di tenerlo sempre a mente, non si sa mai. Ma non è propriamente sull’amore che vogliono discorrere, come fatto in sé, perché oltre ad una questione piuttosto difficile da spiegare, penso che ognuno di noi avrà sicuramente da dire la sua, e le diverse e “incazzose” versioni a riguardo saranno tanto diverse quanto diverse saranno le situazioni e le esperienze peculiarmente capitate a casaccio e senza un perché (che divertimento). E il bello di tutto questo sarà sempre e comunque il fatto che, come concetto, come miscela di sensazioni e di vissuto personale, questa “cosa” non potrà mai essere né catalogata né mai pienamente interpretata: è solo passibile di visioni puramente soggettive, e questo è, in un certo senso, il suo attraente e lontano mistero, la sua carica che ci invade fino al midollo per poi finire nel distruggerci. Vorrei, invece, fare delle considerazioni sull’amore come esperienza sociale, e quindi cercare, nelle mie possibilità, di concentrarmi su come l’immaginario collettivo tenti di identificare un generico rapporto di coppia in un’ottica un po’ diversa, un po’ più ampia, nell’amplesso societario che ne riconosce la nascita e gli eventuali e controversi sviluppi. Ovvia, partiamo!

L’età postmoderna, per come viene attualmente vissuta, può essere vista come un collage di esperienze, di tasselli che abbiamo l’opportunità di incollare sul nostro mosaico personale grazie alle miriadi di possibilità e/o potenzialità che ci vengono offerte o che abbiamo a nostra disposizione, chi più chi meno (“a ciascuno il suo”). Questo vissuto, non può che emergere in maniera impeccabile da un ambito che indaga, come nessun altro a mio parere, il mistero e il senso dell’essere umano: la letteratura. I romanzi, è risaputo, racchiudono il sentire umano dell’epoca a cui fanno riferimento; cercano di estrarne, per quanto possono, l’essenza. Per questo motivo, per avvicinarci di più alla società in cui viviamo, e per cercare di capirci qualcosa una dannata volta, dobbiamo in un certo senso affacciarci a quei particolari romanzi che, dalla critica o comunque da un lettore qualunque, vengono letti come “innovativi”, e dove si può chiaramente evincere lo scardinamento del romanzo tradizionale. Per definizione, il romanzo propriamente postmoderno, quello che, nello specifico, ha il potere di ammaliarci per la sua “diversità inconsueta”, è un romanzo enciclopedico; ciò vuol dire che, al suo interno, si può trovare di tutto: accanto alla quantità smisurata di linguaggi e di invenzioni narrative dettate da una schizofrenia data per scontata, l’autore sviluppa la storia che vuole proporci, che non è altro che un insieme ingarbugliato di tante e infinitesime storie, tutte diverse le une dalle altre. A prima impatto ci si può ritrovare spiazzati, e non si riesce bene a cogliere dove l’autore voglia andare a parare. Tutto questo però permette di affermare che Il meta-romanzo, o il romanzo vecchio stampo (come volete), seppur nella sua indiscussa utilità nel rilevare le origini del pensiero e degli sviluppi umani, non attecchisce poi più di tanto l’immaginario che vuole, per sue necessità interne, concentrarsi consapevolmente nella perlustrazione del tempo presente. Certo, poi c’è da prendere in considerazione la categoria dei “classici” che, non è un caso, vengono etichettati così proprio perché la loro potenza espressiva ha qualcosa che ha a che fare con la loro intramontabile attualità, ma questo è un altro discorso. Il romanzo postmoderno, diversamente, mette in luce quelli che sono gli “sperimentalismi” di questo mondo sociale, e non c’è nulla di più azzeccato di questo per leggere la riconfigurazione dell’epoca attuale. Viviamo, infatti, nell’epoca dei racconti diversissimi ma che, per necessità, devono legarsi l’uno l’altro in una narrazione collettiva se vogliono solo pensare di sopravvivere. Un po’ come succede nei romanzi di nuova generazione: l’autore cerca sempre, velatamente, di tessere un filo rosso generale che permetta di afferrare le redini della complessiva (e a volte davvero complicatissima) situazione narrativa. Declinato alle nostre vite, il no sense che ne deriva può essere attribuito proprio a questo: all’incapacità generalizzata di dare un senso logico-narrativo alle nostre diverse esperienze che facciamo, ai nostri racconti personali, di modo che possa avere anche solo una minima parvenza di un filo che riconosciamo come “conduttore”. E allora, le relazioni sociali diventano fiacche, evanescenti, legate solo alla provvisorietà del momento, all’esperienza specifica vissuta in quella circostanza. E ci ritroviamo ogni volta a ricominciare tutto da capo senza sapere il perché, senza comprendere pienamente perché ci barcameniamo così tanto (“ma io dico: chi me lo fa fare?”). Ed ecco che arriviamo alle relazioni di coppia, tanto odiate quanto osannate. Non molti anni fa, una relazione di coppia era vissuta all’interno di un quadro narrativo solido, stabile, in cui si sapeva benissimo quali erano le tracce della trama da seguire: era solo necessario riempire quelle tracce, quei consigli prescrittivi dettati dalla società e compierli, metterli in atto nella propria vita, mettendoci del proprio come coppia, come un progetto costruito solo e sempre insieme; quindi il proprio progetto biografico era un duo, e questo comportava, in molti casi, il “sacrificio dell’individualità”. Di questi esempi, di “narrazione di coppia”, ne esistono ancora; certamente: il cambiamento e la rimodulazione di un’epoca non può buttare via l’acqua sporca assieme al bambino, e quindi lavarsi le mani di tutto quello che l’ha creata e quindi preceduta: non può spazzare con noncuranza il “tradizionale”; anzi. Quest’ultimo è vitale al cambiamento, all’innovazione che nasce e si costruisce per differenza (quanti amici che stanno per o sono già sposati avete?). Fondamentalmente, le relazioni di coppia odierne si sfasciano dopo due secondi perché non vi è un progetto comune alla base. Sono due progetti individuali che viaggiano sì parallelamente ma che pensano solo a sé: in pratica sono votati al mero soddisfacimento dei bisogni personali che, per attualizzarsi, decidono di “fare coppia”. Di conseguenza, più andremo avanti e più il “vecchio” progetto pensato in comune non avrà più ragione di sussistere: la nostra condizione esistenziale individuale naviga troppo nell’incertezza già per noi come singoli, figuriamoci che cosa può succedere se due “incertezze di vita” decidono di mettersi insieme: esplodono nel no sense immediatamente, e si distanziano (dopo che, alla fine della fiera, si è fatto praticamente tutto insieme dopo i primi 3 mesi di indiscusso romanticismo; e voglio azzardare: ma la soglia di “sopportazione” di quel romanticismo, che appassisce come una rosa senz’acqua, potrebbe essere decisamente più bassa). E quindi che si fa? Bella domanda.
Penso che l’individualismo, con tutte le pecche di egocentrismo che si porta con sé, riservi anche delle conquiste e delle possibilità formidabili. Non possiamo più tornare indietro, assolutamente. Dobbiamo invece sempre guardare avanti con una sbirciatina arricchente che volge lo sguardo al passato, che ha sempre qualcosa da insegnarci (non si sbaglia per imparare? O si sbaglia e basta?). Dobbiamo cercare di re-inventarci, prendendo spunto dal passato ma senza troppi formalismi, e cioè dando respiro al formidabile potenziale che è in noi. La coppia, quindi, deve vivere delle sue risorse di individualità e cercare, al contempo, di costruire quel filo rosso che la distinguerà da tutte le altre (dalle altre coppie e dal mondo in generale); il ché non significa un vincolo insormontabile che trascura e annienta pian piano le risorse-soggetto. Una coppia vera, al passo con i tempi, deve infatti sempre conquistarsi l’evasione dalla sua auto-referenzialità; si deve, in altre parole, fare discorso nel mondo, esattamente come avviene nei romanzi postmoderni. Per sopravvivere in questa società nell'ambito di un rapporto duale, dobbiamo scrivere il nostro romanzo postmoderno di coppia, insieme, cooperando col nostro partner. Questo ci consentirà di vivere bene la nostra storia con l’aiuto di quel “materiale” grezzo che le singole individualità attingono dalle proprie esperienze e che, quindi, scelgono consapevolmente di condividere all’interno del loro nucleo amoroso. Racconti diversi, dunque, diversissimi l’uno dall’altro, ma che poi cercano di fare un lavoro di auto-riflessione, prima con il suo protagonista e poi assieme all’altro protagonista parallelo: il nostro partner. Certo, i romanzi postmoderni sono anche celebri per confondere con queste strampalate comparse che incontriamo durante il loro percorso narrativo: alle volte ci sono sacchettate di personaggi che non si capisce più nulla. Vogliono solo metterci in guardia però: nel mondo, le comparsate ci devono essere e ci saranno sempre. Ma i personaggi principali, quelli che veramente hanno una cognizione di tutta la storia e sono collegati in qualche modo con tutti gli altri personaggi, si riducono a due o tre. Ecco, poiché la coppia, lo dice il nome stesso, prevede solo due personaggi - che sono, a livello societario, fondamentalmente il suo fulcro, il suo punto di partenza - dobbiamo diffidare dalle comparse che ci distolgono dal nostro percorso e che molte volte (birbantelli!) "utilizziamo" istintivamente in senso egoistico: queste devono solamente arricchire la coppia di nuovi spunti, di nuovi vissuti, e non traumatizzarle e dunque estinguerle. Nel rispetto del nostro partner, infatti, dobbiamo evitare di ricadere nella concezione dell’amore perseguito come “quantità”, come concetto consumistico di usa e getta. Se si sceglie di stare con una persona, di amarla, bisogna inventare insieme e scrivere la propria storia fugando l’indefinito, il caos che ci sovrasta e che incombe su di noi rendendoci sempre e comunque spaesati. Dobbiamo evitare le tipiche situazioni di coppia dei nostri tempi e dove si narra, sistematicamente e in ogni occasione, che “Cominciarono soltanto a frequentarsi, in quel territorio crepuscolare che sta tra l’essere solo amici e quello che, qualunque cosa sia, non è amicizia” (DFW); situazioni in cui finisce poi tutto quanto, e bisogna ricominciare tutto da capo. Del resto, in certi casi sbagliati, potrebbe essere solo una salvezza. Ma non sempre: il nostro istinto "sano" saprà sempre ben consigliarci che, probabilmente, quella è la persona giusta per noi.
Un sano Amore a tutti.

Nessun commento:

Posta un commento