martedì 23 settembre 2014

Coscienti allucinazioni

Sei troppo bagnato dalla realtà
ora fai un passo, esci…
Asciugati… Cosa vedi?


Un grumo di pensieri si è formato col tempo
quel tempo che col cuore non potrai mai uccidere
Sedimenti su sedimenti incastonati
strutture su sovrastrutture accumulate e composte a casaccio
che impediscono di ascoltare, osservare, scrivere
Silenzi e attese
immobili corse sugli autobus
tra visi smarriti dietro vetrate liquide di strade asfissiate
dal traffico congestionato e bagnato di quell'inutile abbondanza grondante
Il regno del sospeso, di scene al rallentatore, di un’inerzia massacrante
che reagisce disperato ad una velocità più mobile della mobilità
che arriva al suo punto di saturazione e smette
smette di produrre senso
Quante volte hai pensato di voler smettere di pensare
e quante volte ancora hai pensato a ciò che la tua mente produce
non ricavandone nulla
La tracce si cancellano non appena le impronti
le conseguenze delle tue azioni ritornano alla loro fonte
per svanire
Il processo causale ha subito un cortocircuito
È invece l’evento universale, in sé privo di cause e di conseguenze
che viaggia sull'onda insignificante di un linguaggio sconosciuto
Tocca a te riprendere in mano le redini del tuo discorso personale
fatto di sentimenti viscerali e di nervi scoperti
di parole e gesti che oltrepassano la superficialità patinata
la superficie epidermica delle cose
Ed ecco la genuinità di tramonti abbracciati e rasserenati
forieri della promessa di un arrivederci a domani
Quando meno te l’aspetti quello stato di inerzia subirà una scossa
e un andamento spontaneo segnerà quelle tue parole scritte da tempo
ma che ora si impregnano di un automatismo immediato, universale
Un tacito tramestio incessante
un sano lavoro che riemerge dagli abissi del suo anonimato
Ora puoi immergerti nuovamente, fallo
vivi tranquillamente di coscienti allucinazioni, di creatività sensata
e non preoccuparti, il resto poi verrà da sé

venerdì 19 settembre 2014

The Ciociaro's chronicles #1



Catania, 20/08/2014

- “…Vibratori al vento; Prepuzi in cappella; Sborra di fuoco; Sbattimelo ovunque, sbattilo lì; Puliscimi le tubature; Tette solenni parte II; Il tuo cazzo è il mio, ed io sono sua; Culi calati; Sborration; Giochi di mano, giochi di puttano; Gargarismi indecenti; Aurora sborealis con enormi cazzi ad Harlem; poi Bramose di cazzo; Bramose di fica; Uomini soli 2; poi c'è Vaselina connection... sì, ah, poi Fregne pregne di cazzi duri...…”
- ohhh!! Ma non si vergogna?? Ma io dico: le sembrano modi questi di parlare?? Che dissoluta volgarità!!
- Ma che ne capisce lei signora! … Questa è una dottissima citazione di uno dei massimi capolavori del Cinema!!... Ma io dico: che ne sa lei?? Si faccia gli affaracci suoi! Circolare prego…
E girandosi di sbieco aggiunge tra sé brontolando e scodellando la testa: - Mannaggia alla miseria: quanta gente ignorante c’è a giro… Non se ne esce, non se ne esce…
Così inizia l’esperienza siciliana del nostro caro ed inimitabile Ciociario, all’aeroporto di Catania, mentre aspetta le sue infinite valigie formato casa per il nastro scorrevole che ancora scorrevole non è, ma lui, nell’attesa, si diverte mentalmente a citare film, rovistandone alcuni nella sua impeccabile memoria, per poi esplicitarne, ad un pubblico immaginario (o semplicemente a se stesso – quest’ultima ipotesi è molto più plausibile), i climax più significativi: un vero e proprio esercizio di stile. Finalmente dopo parecchi minuti buoni, che a lui paiono un nonnulla, preleva le sue tanto attese valigie, due enormi armadi con le rotelle per una sola settimana di soggiorno, e si dirige verso l’uscita, verso un sole che chiamare sole è davvero misera cosa, perché quella lì fuori che lo attende è proprio una palla infuocata e minacciosa, credete a me. Ad ogni modo, lui ha pensato davvero a tutto, e i suoi occhiali da sole Ray-Ban ultimo modello sembrano una delle armi più efficaci contro quei micidiali, e prima di oggi a lui sconosciuti, raggi UV accessoriati di sentore africano. Esce e respira. Allo stesso tempo non si lascia sfuggire l’occasione di studiare prontamente la situazione femminile circolante: un autentico sciame di formosità ballonzolanti per ogni dove. I suoi occhi scandagliano; dietro le sue lenti così congeniali sempre quei suoi occhi hanno tutto il tempo di assaporare il momento, e sembrano preparare un banchetto da Re che riserverà diverse pietanze visive, tutte da spiluccare… Dalla sua espressione soddisfatta e leccata di ciglia, pare, comunque, essere enormemente soddisfatto (lo so è una tautologia, ma è efficace). E chi lo avrebbe mai negato. “Beh, una bella sudata di viaggio ne sarà valsa la pena, no?!”, sembra ad un tratto pensare tutto fiero e con le braccia sui fianchi.
È incredibile quanto, ad un osservatore esterno, il Nostro possa apparire tremendamente prevedibile nelle sue movenze, nei suoi pensieri fintamente arcuati, nei suoi atteggiamenti da buon maschione italiano. E invece, a dispetto di quel maledetto luogo comune che cercheremo piano piano di demolire, è sempre un passo avanti rispetto agli altri, non c’è che dire. Quell’osservatore esterno non si capaciterà mai della sua osservazione; non arriverà mai a conclusioni semplici e scontate, perché le sue considerazioni su quel preciso momento saranno già belle che superate, e risulteranno banali blande e sfilacciate non appena lui, il Nostro, avrà fatto il suo prossimo e sempre impeccabilmente direzionato passo; non appena, sempre lui, avrà quella sua inconfondibile disinvoltura di sfoderare quell’incredibile e nuova mossa spiazzante per tutti… La mossa che lo farà notare, lo renderà riconoscibile alle folle, in mezzo a cui un raggio luminoso lo designerà al cospetto di tutti (soprattutto agli occhi del mondo femminile): a tutti coloro che sono in costante ricerca di una postazione altisonante, profumata, da trono: una posizione all’ultimo grido. Questo è il nostro Ciociaro: l’Inarrivabile, un esempio da copertina che si intrufola, senza troppi ostacoli, nella percezione facilona delle masse. E se si arrivi a lui, anche per un respiro di millesimo di secondo ristorato da quella grazia tipica del “finalmente sono qui”, beh, è sicuramente tanta roba.
Comincia a camminare, dunque a molleggiare, perché la sua camminata, dovete sapere, è particolarmente interessante. Se per esempio ci trovassimo sempre in mezzo ad una folla (riprendo lo stesso esempio perché, per semplicità, aiuta a comprendere meglio), una folla dicevo formicolante, come può essere la fauna antropologica che sfreccia calpesta e sfrutta un non-luogo di passaggio, come quello che può interessare un qualunque aeroporto, e volessimo in qualche modo seguirlo e stargli dietro, perché io, in prima persona, sono il suo biografo personale incaricato e quindi, giocoforza, dovrò adottare necessariamente questa condotta di vita, ma voi, dal canto vostro, tutti voi, nessuno escluso, potrete benissimo essere già, o diventare un giorno molto vicino, uno tra i suoi milioni e sterminati fans (“sterminati” non perché qualcuno vi sterminerà non appena svelerete questa vostra incredibile dipendenza che vi state inconsapevolmente accollando – e credete a me: è davvero inconsapevole: mentre bussa alla vostra porta (sempre quella dipendenza) è già bella comoda sul vostro sofà, a sgranocchiare indisturbata i vostri pop corn appena spadellati e caldi e salati al punto giusto, per godersi lo spettacolo più patetico del mondo che vi vede protagonisti assieme a milioni di altri; ecco perché sterminati, perché prima o poi sarete veramente in molti)… Dicevo, se volessimo per qualche ragione stargli dietro – ma la ragione, spero, sia ormai chiara – questa condotta è una tra le cose più semplici del mondo. Lui molleggia, quindi, mentre cammina, descrive una traiettoria ritmica su e giù del suo portamento che, così facendo, si distribuisce nella sua direzione in avanti; ma allo stesso tempo oscilla, quindi si nasconde per un attimo per poi riemergere rispetto ad una linea immaginaria che rasenta il capo della massa uniforme che lo circonda. Quindi molto semplice da adocchiare a distanza, ripeto: potremmo trovarci in una fra le città più popolose al mondo, e l’effetto non cambierebbe. Però questa facilità di avvistamento rende tutto il resto davvero complicato. Sembra che Il Nostro furbone lo faccia apposta: è come se il suo molleggiare ostenti una facilità di raggiungimento… In quello che è, in quello che fa; magari per farti solo accarezzare il desiderio di salutarlo, di porgergli la mano… E invece è proprio questo quello che vuole: far annusare ciò che è; rendere appetibile la possibilità di essere come lui, affinché tutti quanti si uniformino alla sua diversità clamorosa… In questo modo acquisisce con molta facilità consensi; distribuisce speranze a tutto tondo… Ma sappiamo benissimo che sono solo speranze, e, nonostante questo, e soprattutto per questo, permettono l’attivazione di tutta la popolazione del mondo verso un’ipotetica e inavvicinabile realtà immaginata, verso un’illusione. E questo è Lui: è il re delle illusioni. Ecco perché l’ho chiamato l’Irraggiungibile… È come le stelle: la loro luminescenza lontana vive della loro illusione… Magari quelle stelle che pulsano da così lontano non ci sono già più, e noi siamo ancora lì, inebetiti ad osservarle…
E lui, il Nostro, in effetti non c’è già più, ma dov’è? Ah, eccolo! Ve lo avevo detto che non è facile smarrirlo… Si è piantato in un punto, e non sembra smuoversi. Alla vista di una bella donna, del suo seno che, nella sua mente, potrebbe benissimo non avere più confini, in due ganci sganciati in un nanosecondo, e squadrando poi ogni minimo dettaglio del viso di lei, perché per lui, così dice, il viso è la cosa più importante di tutte, partorisce e pensa ad alta voce uno slancio soddisfatto che viene dal profondo del suo essere, e che, fedelmente, fa così: “A quella, quando esce, le devi mettere il satellitare!”… Su questa espressione altamente postmoderna gli è venuta ad tratto una gran fame. Gli comunicano che, per cena, ci sarà carne di cavallo; polpette di cavallo, precisamente. Comincia a salivare al solo pensiero… Il Nostro, anche questo dovete assolutamente saperlo perché è di assoluta importanza, mangia come una fogna insaziabile, che non conosce fondo, che nel suo vocabolario di ingredienti di tutti i tipi non conosce la parola fine… Ha bisogno di energie, di molte energie… Questo perché, immaginerete voi, le consuma in maniera smisurata! Ebbene sì, in fondo, non è che un balordo smisurato che consuma smisurate energie: ecco perché sembra facile stargli dietro… Ma come vi ho già detto non è assolutamente così… Nella prossima puntata cominceremo piano piano a scoprire il perché. Adieu!

mercoledì 17 settembre 2014

Del prendersela coi giovani

In un’epoca in cui l’insofferenza degli anziani per i giovani e dei giovani per gli anziani ha raggiunto il suo culmine, in cui gli anziani non fanno altro che accumulare argomenti per dire finalmente ai giovani quel che si meritano e i giovani non aspettano altro che queste occasioni per dimostrare che gli anziani non capiscono niente, il signor Palomar non riesce a spiccicare parola. Se qualche volta prova ad interloquire, s’accorge che tutti sono troppo infervorati nelle tesi che stanno sostenendo per dar retta a quel che lui sta cercando di chiarire a se stesso.
Il fatto è che lui più che affermare una sua verità vorrebbe fare delle domande, e capisce che nessuno ha voglia di uscire dai binari del proprio discorso per rispondere a domande che, venendo da un altro discorso, obbligherebbero a ripensare le stesse cose con altre parole, e magari a trovarsi in territori sconosciuti, lontani dai percorsi sicuri. Oppure vorrebbe che le domande le facessero gli altri a lui; ma anche a lui piacerebbero solo certe domande e non altre: quelle a cui risponderebbe dicendo le cose che sente di poter dire ma che potrebbe dire solo se qualcuno gli chiedesse di dire. Comunque nessuno si sogna di chiedergli niente.
Stando così le cose il signor Palomar si limita a rimuginare tra sé sulla difficoltà di parlare ai giovani. Pensa: “La difficoltà viene dal fatto che tra noi e loro c’è un fosso incolmabile. Qualcosa è successo tra la nostra generazione e la loro, una continuità d’esperienze si è spezzata: non abbiamo più punti di riferimento in comune”.
Poi pensa: “No, la difficoltà viene dal fatto che ogni volta che sto per rivolgere loro un rimprovero o una critica o un’esortazione o un consiglio, penso che anch’io da giovane mi attiravo rimproveri critiche esortazioni consigli dello stesso genere, e non li stavo a sentire. I tempi erano diversi e ne risultavano molte differenze nel comportamento, nel linguaggio, nel costume, ma i miei meccanismi mentali d’allora non erano molto diversi dai loro oggi. Dunque non ho nessuna autorità per parlare”.
Il signor Palomar oscilla a lungo tra questi due modi di considerare la questione. Poi decide: “Non c’è contraddizione tra le due posizioni. La soluzione di continuità tra le generazioni dipende dall’impossibilità di trasmettere l’esperienza, di far evitare agli altri gli errori già commessi da noi. La distanza tra due generazioni è data dagli elementi che esse hanno in comune e che obbligano alla ripetizione ciclica delle stesse esperienze, come nei comportamenti delle specie animali trasmessi come eredità biologica; mentre invece gli elementi di diversità tra noi e loro sono il risultato dei cambiamenti irreversibili che ogni epoca porta con sé, cioè dipendono dalla eredità storica che noi abbiamo trasmesso a loro, la vera eredità di cui siamo responsabili, anche se talora inconsapevoli. Per questo non abbiamo niente da insegnare: su ciò che più somiglia alla nostra esperienza non possiamo influire; in ciò che porta la nostra impronta non sappiamo riconoscerci."

Palomar, Italo Calvino


lunedì 15 settembre 2014

Il senso di devozione per l'illusione

Se lo Stato è assente, il popolo se ne crea un altro tutto per sé, su misura, dove delinquere può diventare normale e la norma di quella normalità vede il più furbo o il più forte prevalere sugli altri. Se lo Stato non riesce ad infondere un sentimento collettivo, una reciproca comunanza in cui, cascasse il mondo, tutti si possano sentire riconosciuti e valorizzati, allora ogni individuo si ritrova spaesato, e privo di questa importante garanzia il suo contributo alla società si declinerebbe senza dubbio in un'ottica di sopravvivenza spregiudicata, in una traiettoria di vita che è chiaramente individuale; votata all'isolazionismo più che alla condivisione; destinata ad un futuro privo di quell'illusione salvifica di cui è fatta l'intera vita: come l'illusione della piccola ed intermittente luce di stelle, che dal firmamento quasi del tutto ignoto giunge fino a noi, in differita.
Si tratta di un'illusione poiché magari quelle stelle non ci sono più, e a noi quella luce arriva semplicemente in un ritardo di milioni di anni. Ma è chiara la salvezza che deriva dal fatto di non percepire la loro luce tutta quanta assieme. In quel caso, oltre a non saper più distinguere nulla, si perderebbe il tatto per le cose veramente importanti, e senza dubbio la mancanza di un cielo così lattiginoso e spolverato di luminescenze non alimenterebbe più il mistero esistenziale; quello stesso mistero che ci permetterebbe, in un'inconsulta stretta di mano, di andare avanti nel nostro cammino. Quindi l'illusione è la possibilità del diverso; tale diversità è cambiamento e costruzione: elementi fondamentali per il procedere umano.      
Certo, ogni agire sociale è prima di tutto individualistico, personale e bisognoso delle necessità immediate. Ma queste ultime prendono forma e vivono solo in un senso sociale, che è organizzato e tacito, e permette la sorprendente coordinazione di diversità ed eterogeneità individuali mozzafiato; un bacino inesauribile se ci si ferma un attimo a pensare. Ecco: è esattamente il tipo di coordinazione sociale vigente che si è andata ad inceppare, che non funziona più, e che non rende, ai popoli, un tipo di giustizia che si avvicina ad una che può essere chiamata umana.
Troppo della ricchezza e delle ultime risorse rimaste viene accumulato in poche mani, sadiche e spietate. E troppo poco, viceversa, rimane sulle braccia di chi, stanco per aver lavorato onestamente una vita, si ritrova a dover combattere ancora, e ancora, solo per strappare un sorriso alle persone care. Non va bene così. Le opportunità devono essere equamente distribuite. Le possibilità di redenzione personale devono trovare un comune accordo in una collettività che esalta le qualità del singolo, perché uniche e preziose per le assetate e bisognose comunità.
Chi detiene e pratica e preserva quelle qualità deve poterle spenderle localmente, affinché ci sia una ripercussione sana e positiva in senso globale. Pensare globalmente e agire localmente è una strada positiva, ma solo se i contesti in cui la si intraprende riconoscano le risorse dei soggetti, mettendole a sistema, valorizzandole e permettendone uno sviluppo cosciente. Evitando quindi una loro mortificazione, che arriva subito in senso "assistenziale" qualora quelle stesse risorse risultano impoverite e in deficit. Il puro assistenzialismo non serve a nulla, non costruisce proprio nulla: sperpera solamente quei pochi aiuti rimasti. Quest'ultimi, al contrario, dovranno essere spesi per uno sviluppo personale e cosciente delle risorse personali, e ciò significa riattivare quelle stesse risorse latenti, ed espanderle, e immetterle nel circuito della comunità sfilacciata di legami sociali.  
Non esistono solo le risorse economiche: bisogna estirpare dalla testa questo cancro onnipresente. Non è che da questo tipo di risorse si ricavano tutte le altre importanti alla vita. Non è che aumentando a dismisura questo tipo di beni materiali si ottiene poi automaticamente un benessere diffuso, condiviso. È una visione sbagliata questa.
Le risorse umane, quelle spirituali per semplificare, creano col tempo le prime, ma ci vuole pazienza, lungimiranza, senso di devozione: occorre la canalizzazione di pratiche sane e decenti alla vita buona. Solo così, con il lavoro sociale nel sociale e per il sociale si può avere la ghiotta probabilità di moltiplicare la ricchezza, una ricchezza fatta di testa e braccia che è però prima di tutto umana.

martedì 2 settembre 2014

The Ciociaro's chronicles

Premessa

Questo è un racconto a puntate di alcune gesta, le gesta di un grande italiano medio – "medio" per un modo di dire che si rifà ad un immaginario collettivo arenatosi, ancora, nelle attuali – quanto inutili – classificazioni derivanti da una concezione di stratificazione sociale non più esistente; ma qui, per inciso, benché sia in atto una riconfigurazione globale della società tutta, si riprenderà, con estrema fedeltà, il termine (medio) in questione nella sua concezione desueta (ma, ripeto, ancora ampiamente dominante), poiché questa raccolta non ha nessunissima pretesa di deludere quell'immaginario consuetudinario in cui, ancora, il lettore si orienta più facilmente e senza esitazioni (anche se, è doveroso dirlo, diversi cambiamenti piuttosto evidenti della e nella struttura sociale hanno indotto certi scricchiolii non indifferenti che hanno, e stanno, generando smarrimento generale – chiusa parentesi). Proprio per questo motivo, sempre lui, il lettore, potrebbe dunque serbarsi in questa sede, – a fronte di uno scenario, diciamo così, più familiare – una possibilità convinta di trarne più agevolmente le sue personali coordinate di senso.
Detto questo, si procederà ad una descrizione preliminare e sommaria del nostro inimitabile personaggio – unico nel suo genere poiché è praticamente impossibile emularlo: toglietevelo dalla testa! – prima di addentrarci nelle peripezie più incredibili e forsennate del Nostro.
Quando dico "medio" è anche, più che altro, per un esercizio di semplicità. Difatti il nostro caro Ciociaro è considerato il re di coloro che possono essere etichettati nella categoria sociale media in quanto, pur accentuando le loro tipiche dinamiche relazionali, ed essendo a conoscenza delle più infime e congeniali loro strategie di comportamento e/o atteggiamento, egli trae tutto il vantaggio personale possibile prendendosi costantemente beffa di loro – solitamente alle loro spalle e con una donna-vetrina al suo fianco.
Stiamo parlando, per farla breve, di un animale sociale spietato che, nella sua illusoria accondiscendenza perenne verso gli altri, e nel suo perbenismo ultra-accentuato da rione, mostra senza alcuna esitazione una facciata statuaria (e sempre impeccabilmente pettinata) di chi dice di saperla sempre lunga, ottenendo inoltre e indiscriminatamente servigi a suo unico vantaggio porgendo, a chi gli è attorno (ma solo ogni tanto, giusto per far vedere), gli spiccioli rimasti della somma di notorietà da lui guadagnata. Così, ostentando e lasciando immaginare una ricchezza e/o nobiltà d'animo senza precedenti, detta i ritmi della moda passeggera che lui, principe fra tutti, permette solamente di annusare; perché fino a quando tutti gli altri saranno a malapena riusciti ad ottenere un granello di ciò che lui impersonifica qui ed ora, egli stesso sarà già lontano anni luce dal presente sogno agognato dagli altri, pronto come sempre è a renderlo immediatamente anacronistico (sempre quel sogno) ai suoi occhi, adocchiando sempre – con un intuito a dir poco sovrumano – nuove mode, e depredando improbabili sacche di mercato ovviamente fino ad ora sconosciute ai più.
Un ulteriore chiarimento, inoltre, è dedicato al termine "ciociaro". Salvo creare sconvolgimenti indentitari nei confronti di tutta la popolazione di origine o tutt'ora residente/domiciliante nel lembo di terra dell'appunto rispettabilissima Ciociaria, si vuole qui precisare che il termine in oggetto viene utilizzato solo ed unicamente come semplice appellativo di riferimento verso il nostro principale protagonista. Quindi, chi con quel termine si sente per ovvie ragioni in qualche modo toccato o chiamato in causa, deve sapere sin da subito che l'intento non è assolutamente quello di generalizzare.
Al contrario è, chiamiamola così, una simpatica connotazione affettiva che ha trovato spazio e sviluppo durante un'esperienza di vita condotta da alcuni personaggi piuttosto pittoreschi, in cui il Ciociaro, essendone stato a piene mani immerso, ha dimostrato le qualità esorbitanti della sua inarrivabile persona, spendendole e condividendole nel tragitto rocambolesco percorso  assieme a tutti gli altri. Dunque, questi personaggi compagni di avventure, avendo origini differenti, hanno individuato, in quel termine, il più naturale e spontaneo modo per riconoscere e identificare il Nostro. Tutto qui.