Fuori è già buio. Il tuo
giorno è passato senza troppi intoppi ma è andato comunque a nascondersi
laggiù, da qualche parte. Il notiziario della sera brontola le solite
sconcertanti notizie. Anche le giornaliste discutibilmente ben vestite sono parecchio
imbronciate, e la loro fredda voce cadenzata ti risulta stridula, insopportabile;
addirittura più fastidiosa di quelle finte voci gioiose che riempiono, di un
tempo inutile e votato solo al denaro, quelle pessime pubblicità provinciali da
quattro soldi che non smettono mai di passare alle frequenze radio più sfigate
e sconosciute. Pensa un po’ cosa ti tocca ascoltare: ci saranno albe di tempi
migliori, non temere. Ti senti piuttosto annoiato, e questo, da un punto di
vista che non è proprio il tuo, potrebbe sembrare un miracolo, ma tu per il
momento lo ignori completamente.
L’anno nuovo è bello che
iniziato e ormai si è imposto su tutti i fronti, ma tu, ancora una volta, non
ti sei accorto di nulla: eri troppo impegnato a girarti d’improvviso di spalle, per viverti, in seduta solitaria, tutte quelle cartucce di starnuti che non
pensavi minimamente di possedere. La scatola dei kleenex che per tutta una
serata ti ha tenuto compagnia, e che hai avuto la dolce premura di portarti
costantemente sottobraccio, alla fine è riuscita nel suo ultimo intento
semantico: chiedere resa ad ogni bianca sfilata di sventolamento. I fazzoletti
bianchi di quella scatola amica, perciò, si sono dimostrati coraggiosi
soccorritori, pronti a sacrificarsi ad ogni ripetuto e necessario tamponamento:
finivano alla lunga per inzupparsi integralmente a fronte di tutte quelle
colanti mucose burrascose che, anche qui, non pensavi assolutamente di
custodire; che non sapevi potessero provenire da un tuo di dentro mai
dimostratosi così abbondantemente provvisto. Ad ogni modo, tramite gruppi intestati
di e-mail, ti sei impegnato ad inoltrare a tutti loro (agli eroi-kleenex così
coraggiosi) i tuoi più sentiti e ormai prosciugati ringraziamenti, e sei stato
parecchio carino e gentile: questo non potevo non dirtelo.
Il peggio è ormai passato, e
sei finalmente ritornato a respirare libero, al di là di quella trincea che ti
ha lobotomizzato tutti i sensi: sei riuscito a conquistarti una nuova
respirazione felice. Molto più sereno, poco fa, stavi ripercorrendo nei tuoi
pensieri una frase ricorrente e familiare che t’è venuta in mente quando eri
ormai certo che la quiete post-starnutifera era vicina: “Mai avuto così, che io
ricordi”, il raffreddore immagino che sia.
E quindi Buon Anno, è giunta
l’ora di dirtelo, a scanso di germi che, si spera, non siano più polleggiati nei
tuoi paraggi per socializzare tra loro. E allora arriva il momento in cui si
può annunciare che le festività natalizie la signora imbacuccata e col naso
oblungo se le porta tutte via, e tu, nel frattempo, hai appoggiato le braccia
al caldo davanzale riscaldato dal termosifone che si trova subito sotto, quello
stesso che distribuisce, invisibilmente, aria calda ascensionale sbuffando
sulle tendine che appena si rigonfiano scostandosi da quella finestra da dove
ora stai scorgendo non so cosa, forse nulla in particolare, ma sicuramente non
avrai la possibilità di cogliere nessuna scia di scopa armata di pazienza, e
che raccoglie quelle luci così colorate e gioiose che continuano a ricordarti
un periodo di stacco, una sospensione da tutto il resto. Gli stacchi che
riguardano quelle cose che prima o poi rivedrai sicuramente, si prendono tutto
il loro tempo prima di dirti Ciao con la manina. Sono lenti, li vedi ancora
anche quando tutto è finito, e sono quasi degli arrivederci, perché sai che, in
un altro similare periodo identico a quello che hai appena vissuto, li rivedrai
sicuramente. Sono invece gli altri stacchi, quelli stessi che chiami di-stacchi
perché inaspettati e inspiegabili e se vogliamo tremendamente prematuri, a non
degnarti minimamente di un briciolo di saluto: vanno via e basta, si slacciano
da te, e non ritornano più, per sempre.
E mentre componi nella tua
testa queste considerazioni tutto sommato scontate rimani piantato a quella finestra,
assaporando quella stessa noia che ti ha invaso poco fa, e che cominci a comprendere,
perché in tutte queste feste appena trascorse (sì, nei stai raccogliendo gli
ultimi sgoccioli proprio ora) è stata la tua salvezza sin dal principio, e ora
lo sai.
La televisione è spenta, l’orologio
continua a ticchettare, il movimento lento delle auto fuori dalla finestra sta
allestendo il nuovo giorno che verrà, e tu ti godi il momento: gli attimi che
riempiono la cerimonia di uno stacco segnato; il lasciare andare di alcune
giornate sospese che chiudendo e aprendo gli anni, a cavallo, rappresentano le
dentellature delle tue cerniere interiori, quelle che potrai chiudere sempre da
solo e con sicurezza, per custodire quei giorni natalizi passati con un curante
amore per la noia perpetua, quella stessa noia e ripetizione e legame sanguigno
che ti lega a chi tieni più di chiunque altro, a coloro che in fondo compongono,
con stacchi ripetitivi e sempre presenti, la tua insignificante ma così
sorprendente vita. Rimani ancora alla finestra, e osservati. Ciao.
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