mercoledì 15 gennaio 2014

La musica cova la melodia di una società nuova (forse)

Cantanti diversi nello stile che dialogano in musica. Cooperazione musicale, fare collettivo, creare dei sogni di condivisione, trovare lo spunto giusto per esaudire l’essere umano che è in noi: è una tendenza attualmente dilagante nel panorama pop musicale, un timido tentativo di risveglio. La competitività ci rende miseri, soli: si sta forse avvertendo che la classica popolarità dell’individuo solitario è una condizione che alla lunga logora, logora e basta. Hanno pensato bene di chiamarsi a vicenda, telefonarsi, chattarsi, chiedere con tono amicale e sereno, chiedere come stai. Semplice: una semplice presa d’atto della fratellanza che ci unisce, nulla di più.
In queste collaborazioni stilistiche e musicali che spuntano come funghi all’uscita di un nuovo pezzo, si accoglie il responso positivo del grande pubblico, e quest’ultimo ne è piuttosto entusiasta. Sì, perché è davvero ammaliante (io mi tiro fuori) lasciarsi trasportare dalle melodie diversissime ma anche incredibilmente vicine di mondi così divergenti che dialogo, si miscelano e creano il mondo col botto: fuochi umani nella disinvoltura del sincero. Ancora sì, perché è un qualcosa che sa ben coniugare le intime sofisticatezze degli stili di ognuno in un qualcosa di veramente nuovo, di così sorprendentemente diverso.
Non c’è alcun bisogno di capirne di musica (io personalmente ascolto e basta), di stare lì a criticare ogni singola distorsione che nasce dal primo scettico contrasto di due linguaggi che, si pensa sempre erroneamente, parlano solamente al proprio specchio egoistico. Questo semplice lavoro lo lasciamo ben volentieri all’estro degli esperti in materia. È piuttosto l’idea di fondo che disappanna da ogni minimia perplessità, da dubbi fondati su una moda passeggera che passa da lì solo per beccarsi la fetta di torta che gli spetta. Quest'idea è solo un dialogo fatto di sincerità, iniziato, sembra, da una prima impressione che intravide un accostamento di generi diversi non poi tanto pensato ma buttati lì, e lanciato dallo spirito dell’entusiasmo.
Certo, queste strambe unioni fanno fare soldi a palate, e su questo, mi sa, anche qui, e mi dispiace tanto ammetterlo, non ci sono ombre attribuibili a dubbi. L’utopia di un mondo felice dove avrebbero potuto comandare il fair play, la stretta di mano, o la spallata accostata, o ancora l’empatia ma quella vera, viene soppiantata dalla cruda e amara realtà; come sempre, quando si aprono davvero gli occhi sulla melmosa realtà.
Alla fine poco importa se lo facciano a fini di lucro personale o per un vero slancio verso la concezione di un mondo più umano, più solidale, più aperto. Anche loro, alla fine, devono campare, e per campare, e poter dunque riuscire nell’intento di sopravvivere, si sa, bisogna tutti quanti sgambettarsi l’uno l’altro, senza esclusione di colpi. Tutta la vita sociale su questo pianeta è fatta così: un’inutile sterminio consumato a vicenda sulle rovine di ciò che poteva essere: un mondo che nella sua splendida complessità, è semplice. È vero, probabilmente nella musica si può nutrire ancora una speranza di redenzione. Si può ancora riconoscere in essa, e nonostante tutto, una lontana convinzione che ci parli sulla possibilità di farcela, e che, dopotutto, è ancora lungo il cammino da compiere, come sempre, e che non dobbiamo arrenderci, per nessun motivo, perché la riconosciamo benissimo quelle naturale predisposizione che possediamo tutti, ma verso la quale facciamo spesso finta di nulla, per narcisismo, per pigrizia, e cioè: decifrare l’elegante codice che c’è dietro la sua audace bizzarria, dietro quella enigmatica soluzione che non riusciamo a chiamare diversamente se non vita.
Lo sappiamo, ne sono sicuro, lo sento. Ma dobbiamo prendere atto che siamo ancora lontani dal saperlo ben coccolare, da saperlo ben custodire quel codice, quella cosa che ci pare irrimediabilmente lontana, ma che nella luce soffusa della sera riusciamo a scorgere... Sì, proprio lì: nel luccichio che si crea in un nostro sguardo di reciproca intesa.
Può essere una grande rilevazione questa, e cioè che cantanti o gruppi musicali comincino a scrivere album insieme, e tutto questo, agli inizi, non può che essere un tentativo laboriosamente sperimentale. Se davvero la musica tutta è tanto importante, in qualsiasi forma essa invada e conquisti i regni dell’acustica umana, ed è cruciale a tal punto da affermare che senza di essa la vita sarebbe completamente sbagliata, allora si potrebbe fare un pensiero benigno; perché no?
Certo, poi ti viene sicuramente da pensare che sarà partito tutto per una trovata di tipo commerciale, come succede spesso nei festival di cantanti famosissimi, che non sono altro che uno sposalizio vantaggioso per tutti in termini di brand personale e d’immagine. E quindi capita di ascoltare cantanti della musica popolare che si affiancano, nelle voci, a questo linguaggio più rude, violento, proveniente dal ghetto incatenato per strada, ai Rapper per intenderci.
Ma nonostante queste negative considerazioni, sembra proprio di ascoltare la voce di un popolo unito che, finalmente, e per una volta, sembra voler riconoscere le diversità di ognuno, le proprie peculiari libertà espressive. Il collettivo, quindi, non reprime le singole individualità ma le esalta, mettendo ancor di più in un contrasto inaspettato le loro specifiche pecche e ricchezze: tutto assieme. L’idea di competitività si arresta giusto il tempo della melodia e poi, forse, va a conquistarsi un proprio status invidiabile: il frutto di una collaborazione tanto sperata e che è riuscita magnificamente nel suo intento.
Insieme è meglio, insieme è divertente, insieme conviene di più a tutti: più tutti vivono la loro musica senza nessun censura sulla propria espressività singolare e più le cose girano meglio, più la melodia acquisisce dei tratti così sofisticati che non pensava di avere prima, proprio perché è tramite l’incontro col diverso che lo specchio si infrange e cominciamo finalmente a vedere meglio noi stessi.
Però sarebbe davvero bello, lo so, un’utopia forse, e quindi dobbiamo accontentarci dell’attimo di consapevolezza e basta, quell’attimo in cui almeno si ha la possibilità di fantasticare, e di trovare connessioni utili per il nostro animo affamato di bellezza, assettato di un mondo che ha le sue chiavi per entrare nelle porte del cambiamento e non le sfrutta, facendo finta di non sapere dove le ha dimenticate...
E quindi quell’attimo inebriato, poco prima del freddo disincanto, lo colgo in queste parole, le parole di uno scrittore che mi fa davvero tenerezza, trattasi del buon vecchio Boll che, passeggiando per la verde Irlanda, ci racconta uno dei suoi mille incantevoli quadri: "Le palline ruzzolano ancora contro la pietra dei gradini, gocciole bianche di gelato cadono nel vicolo, si posano un attimo sul fango come stelle, un attimo soltanto, prima che la loro innocenza si distrugga nel fango." Ecco, vorrei sapere che gusto ha quell’attimo, quell’attimo precario in cui quelle gocciole di gelato disegnano delicatamente stelle posandosi sul fango...

P.S. La musica pop e/o commerciale non mi piace poi tanto, anzi direi che non mi piace affatto. Piuttosto, sono le occasioni di ascolto del diverso, di un qualcosa che per te non è per nulla familiare che ti portano, bizzarramente, a fantasticare su cose a cui non avevi mai pensato prima.

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