lunedì 18 novembre 2013

La trascendenza si cerca in basso

Giochiamo d’immaginazione. Siete a cena, una cena a cui desideravate parteciparvi da un sacco e dove magari c’è anche tanta gente che non vedete davvero da tanto tempo, tale per cui è davvero difficile stabilire con certezza l’ultima volta in cui avete avuto modo di stare tutti insieme, tutti di nuovo così appassionatamente. Quel tempo macigno, infatti, ha pensato bene di riempire tutte le falle e, per giunta, ha arricchito la vostra vita con tanto altro e altro ancora, il ché è altamente normale. Tra le vostre presenze sul quel tavolo c’è qualcosa di invisibile, una materia che ormai fa luce su tutte le cose e appartiene propriamente alle vostre vite; un qualcosa che non potrete mai e poi mai condividere pienamente, nonostante i vostri più efferati sforzi di spiegazione condivisibile. E dunque persone del passato si rifanno vive nel vostro presente, con un volto nuovo e bizzarro, e quasi tutti i dialoghi, per avere una propria e più viva legittimazione, devono rifarsi quasi necessariamente ad un passato né tanto vicino né troppo lontano, seppure ormai inesorabilmente andato. La vita, nel frattempo, ha fatto il suo corso naturale e distanziato. Ad un certo punto (presumibilmente all’inizio della presa di posto), un tipo abbastanza audace, un tipo che ci vede lungo sulle sorti di una cena cosiddetta da “rimpatriata”, si alza col bicchiere in mano e, tintinnando con decisione quel povero bicchiere utilizzando una posata qualunque, chiede, senza remore, la parola tra i rimpatriati: ha in mente una proposta inconsueta e altamente provocatoria: deporre tutti i prolungamenti tecnologici (nella fattispecie smart phone o simili) e accumularli ad un angolo lontano del tavolo, dimodoché l’atto in sé possa essere da monito per tutti: chiunque si arrischi nel cercare di sbirciare o di gironzolare in una realtà altra che non sia quella della serata in corso d’opera verrà penalizzato duramente: pagherà senza sconti l’intera cena a tutti, nessuno escluso. Tuttavia viene contemplata un’unica, quanto remota, eccezione al caso: si potrà eventualmente rispondere solo ad un’inaspettata (?) chiamata della mamma, poiché ritenuta dalle circostanze plausibilmente improrogabile – nel caso in oggetto, al termine della chiamata, la mamma in questione dovrà, per forza di cose, confermare, preferibilmente in vivavoce, l’effettiva veridicità del suo ruolo di mamma del soggetto interessato, salutando collettivamente tutti i commensali presenti alla cena; anche se non conosce tutti quanti non importa). Lo scopo del gioco è la deterrenza dalla nuova trascendenza in formato digitale: riusciranno i nostri eroi nel motivato e tanto ricercato intento? (di motivazione, per dirla tra noi, ce ne vorrebbe a palate). Tutto ciò, infatti, sembra esser diventato difficilmente attualizzabile al giorno d’oggi. Una volta capitava di osservare il cielo per trovare una qualunque ispirazione; oppure c’era chi preferiva il mare per staccare un attimo dal quotidiano e per collegarsi all’altrove (chi ha il mare a portata di mano, sa di cosa sto parlando); o ancora, tendevamo, molto innocentemente, ad essere per lo meno partecipi al cospetto di una conversazione seppur di circostanza. Tutto, in qualche modo, prendeva quelle sembianze che riuscivano a trasportarci in una dimensione in cui si poteva riconoscere un barlume di momentanea sensatezza. Anche se tutte queste belle cose continuiamo comunque a farle, sembra che il quadro della situazione non sia più lo stesso: che lo vogliamo o no le cose sono piuttosto cambiate. Con un occhio si osserva l’interlocutore per non tradire il proprio ascolto (che si presume attivo) e con l’altro si dà una sbirciatina ad uno schermo digitale: il mondo si è concentrato in una sola mano ed è peggio di una calamita scorrevole e “informativamente” imbizzarrita: anche se cerchi di sfuggirle lei prima o poi ti troverà: basta sollecitare e toccare quello schermo. E può anche essere un nuovo tipo di distrazione da dipendenza ma, effettivamente, sta modificando il nostro modo di concepire il contesto in cui siamo inseriti e i legami sociali che vogliamo o tentiamo, affannati, di costruire, rinsaldare, e sviluppare in divenire. E dunque le cene sono diventate parecchio noiose con tutta questa gente che alla prima occasione utile evade, si fa letteralmente assente, cercando non si sa cosa in quell'aggeggio così utile e "spettacolare" (tu non lo sai, lui forse sì); sempre con quel capo chinato verso il basso, simile ad una strana e obbligata deferenza che lo estranea da tutto e da tutti. E quelle sue dita sono così impegnate a scorrere e a smanettare che non ce la possono fare e, penso, che preferivano di gran lunga gesticolare caldamente con persone reali, presenti, piuttosto che stare lì, unte delle proprie impronte digitali sudaticcie, a tastare a tentoni un freddo, ma così sorprendentemente accessibile, schermo bombardato di meraviglie.

Forse volevo dire tante cose, forse non ho detto davvero proprio nulla, ricadendo magari in sterili luoghi comuni piuttosto noiosi; ma in questo caso è proprio la disarmante sensazione che la fa da padrone, non so come spiegare. Evidentemente, per tali questioni, è davvero parecchio difficile capirci qualcosa, almeno per il momento. Ma quell’ipotesi di cena, tanto inusuale quanto veramente rappresentativa di un ritorno a soli pochi anni fa, io me la vorrei proprio godere un’altra volta, giusto così, per saggiarne l’effetto che fa, di nuovo.

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