giovedì 14 novembre 2013

Il tramonto è Biancosarti

Lui è già lì, tutto già profumato e candido, appena uscito dalla sua sciacquata ascellare post-giornata intensa da master, e ti aspetta, per un tempo che ti sembra essere sempre indeterminato. Non si sa perché, ma quando arrivi e metti piede nella sua immensa abitazione non lo trovi mai: sembra nascondersi sempre in luoghi tutti appollaiati, luoghi di ristoro sparsi per tutta la casa e che tu non troverai mai. Poi, dopo il decimo e guardingo passo che ti conduce nel suo soggiorno accogliente e ampiamente orizzontale, lo trovi che ti spunta, proprio dove disorientato ci sei anche a tu, e si presenta come un folletto che ti dice in un ruggito addolcito al miele “Zioooo, alloraaa?? Com’è com’è ahhh. (Pausa bella piena; dopodiché) Tutt’apposto?” in un idioma che è un mix di musica, mare ed effervescenza catartica. La cosa più sorprendente però è che lui è praticamente quasi mezzo nudo quando te lo dice. Fa caldo, è vero, e siamo nel maggio di un’inquinatissima città nord industriale, e lui è già spoglio di tutto, della giornata, di ogni minimo pensiero che infastidisce la serenità conquistata anzitempo dalla mente (tutto questo solo apparentemente però, perché quella sua simpatica testa pelata lavora ad una velocità supersonica, e le connessioni che riesce a fare in un decibel di secondo non saranno mai alla tua portata; questo è tassativo: lo devi sapere). Dunque, è praticamente già tutto mezzo nudo, pronto per un qualcosa che sembra altamente cerimonioso, ma tu non lo sai: davanti a lui il tuo approccio mentale deve presentarsi come una lavagna sgombra di bagnato pulito, pronta ad accogliere qualsiasi estrosità, altrimenti risulta difficoltoso capirci qualcosa, dopo. I suoi slip ultra firmati, oltre che incredibilmente attillati e pronti per una sfilata di moda super sexy, a momenti cedono; ed è tutto un pittoresco personaggio agghindato di se stesso che te la fa prendere proprio bene, e tu lo vedi e non riesci a capire... Perché? Perché fondamentalmente non capisci esattamente se ha dimenticato di togliersi gli occhiali da sole in casa o ancora li indossi per un motivo tutto suo. Le possibilità sono due: o è un essere da occhiale da sole dipendente, e forse ci sta; o vuole godersi qualcos’altro di inaspettato, e tu, per la miseria, vai a tentoni incuriosendoti sempre di più. Allora, la prima ipotesi, secondo il mio umile parere, potrebbe essere plausibilissima, dato che, quegli occhiali da sole, così fighi e da urlo, sono anche piuttosto graduati, e quindi senza la loro gradevole inforchettata alle orecchie il nostro personaggio ci vedrebbe ben poco, e proprio per gentile concessione a tal motivo non ci pensa minimamente a staccarsene, per nessunissimo motivo; perfino quando in aula pone domande interminabili e cervellotiche, ma soprattutto labirintiche, a professori piuttosto imbarazzati, professori che, sempre con la faccia incrinata e a punto interrogativo, cercano disperatamente l’aiuto del pubblico. La seconda ipotesi si svela da sé, gradualmente, un vero e proprio tappeto rosso che si srotola, che ti fa accomodare con il benvenuto riservato solo ai re, e ti permette di calpestare, morbidamente, un soggiorno trascendentale che si protende nella sua apertura alare verso il tramonto. E quindi ti ritrovi in una stanza, oltre che spalancata, imbevuta a sorsate, tutta inondata di quella tipica luce arancione infuocata che racconta il cedere di un cielo felice che si abbandona; e tu cerchi te stesso sentendoti esattamente così: appagato nell’abbandono. Poi che fa: facendoti prendere posto su panche da osteria ti volge le spalle per trafficare in un frigo esplosivo, tutto intento a sfoderare, in fine, una bottiglia che ai suoi occhi vedi preziosissima ma che tu continui a non riconoscere. Sì, perché si tratta di una bottiglia prodotta, in vero, solo di recente, ma che ha il sapore della veggenza antica. All’apparenza sembra una di quelle bottiglie sorseggiate nelle versioni aperitive di decine di anni fa, conosciute solo da buoni vecchi intenditori e da lui, il nostro personaggio. E allora comincia a versare una quantità ben considerevole di questo aperitivo Biancosarti, introducendolo nel tuo appena sciacquato bicchiere unto da lavandino, e te lo pone, quel bicchiere, con l’intrinseca tesa di braccio propria della grazia divina. Tutto ciò permette un andirivieni di discorsi del tutto originali, neppure lontanamente stereotipati, che ti fanno sentire come in un tutto con la quintessenza del piacere: dialogica e corporale assieme. E allora affronti discorsi caserecci (con sue celebri citazioni del tipo: “Zio? "Mi sono sempre chiesto come si faccia a scappare a gambe levate"), ma anche conversazioni battuta-e-risposta sulle sorti di questo nostro mondo che cade a pezzi, pescando, ad intermittenza, rimasugli di ricordi che vedono come protagoniste quelle ragazze che ti hanno fottuto anima e corpo, ma che poi risultano essere sempre, paradossalmente, le uniche vere regine di discorsi compiaciuti. La modalità tipica del suo parlare, oltre a quel marcato accento che lo distinguerà sempre e comunque, si estrinseca, nello specifico, con paroloni ricercati e inusitati, intervallati, qua e là, da risate auto-riflesse che necessitano di una bombola d’ossigeno esterna, invisibile ai tuoi occhi. Tu, di primo acchito, non capisci la natura di quelle risate, ma in seguito, dopo aver percorso un tragitto bello lungo e accompagnato da abbondanti e dolci sorsate di Biancosarti, riesci a coglierne la vera essenza, l’essenza di un sorriso che ha il carattere inglobante, esattamente come quello dispensato dallo Zio Gandhi alla frustrata umanità. Ecco perché io a questa persona, lungi dall’essere un personaggio frutto della mia immaginazione (sarebbe tutto più semplice se fosse andata in questo modo, e se fosse stato un mio amico immaginario; e invece no, neanche a dirlo), gli voglio un mondo di bene, e come giustamente sottolineammo tutti insieme una volta, in preda alla nostalgia collettiva che si sarebbe presentata in quel breve periodo imminente, ribadisco “Il tempo è nostro amico e tu ce lo riempi dell'interminabile voglia di vivere.”

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