martedì 8 ottobre 2013

Non tutte le stelle sono pulsanti #2

(...segue da parte #1)

Sebbene in quel momento gli suscitò un ricordo sfuocato, completamente immotivato nel suo sopraggiungere, arrivò alla conclusione affrettata di non averla mai vista prima: pensò che fosse capitata lì per caso, trasportata dal solito caldo vento del flusso migrante di turisti, tipico di quelle spiagge soprattutto in estate. Mentre la contemplava nelle sue gesta danzanti si sentì come un groppo interiore aggrovigliarsi di emozioni inaudite, simile ad uno spasmo fremente e misterioso che lo catturava attonito. Questa volta ne era certo: non aveva mai provato una sensazione di quel genere, dolce e soffocante allo stesso tempo. Quasi stranito dall’inconsueta attrazione, e prima che gli venissero in mente strane idee di approcci imbarazzanti, decise di spezzare l’incantesimo tuffandosi in mare, portandosi con sé il piacevole fardello delle impressioni accumulate su di lei e, così facendo, si sprigionò a bracciate nella spuma serale di un’acqua tiepida e accogliente. Di ritorno dalla suggestiva nuotata, e mentre si affaticava per raggiungere nuovamente la riva, la beccò con lo sguardo in un angolo, sola, una mano poggiata su uno scoglio, la testa reclinata verso il basso, tutta intenta a rovesciare sulla sabbia conati di vomito fosforescenti. Mentre riviveva attimo dopo attimo il fotogramma di quella visione dispiaciuta, si accorse che Fulvio, il macellaio del paese, stava sboccando nell’immediato anche lui, senza preavviso, proprio quando il bar continuava a riempirsi senza sosta, eletto da chi passava da quelle parti come il rifugio più appropriato in caso di pioggia. Non c’era stato verso dunque: Fulvio aveva alzato il gomito per l’ennesima volta, più e più volte, dandoci giù di brutto, tralasciando bellamente e senza soluzione di continuità i severi moniti della moglie che, preoccupata e rassegnata al contempo, non sapeva più davvero cosa fare. Due fra gli avventori si interessarono dell’accaduto, sincerandosi con Fulvio delle sue condizioni e, quasi premurosi, lo invitarono a darsi una rinfrescata nella toilette a due passi da lì. Martino, l’immancabile barista smunto, si affrettò in un lampo nel dietro magazzino per recuperare mazza panno e secchio, l’essenziale insomma per raggiungere l’angolo chiazzato di vomito e ripristinare alla meglio un senso di nuovo decoro al locale.
– Ah! Ah! Ah! Ah! Fulvio, il solito debole di stomaco! – L’inconfondibile fragorosa risata di Oscar irruppe nei dialoghi sovrapposti che animavano incessantemente il bar; era un tuttologo dalla battuta pronta Oscar, 51 anni in marzo, una vita da scapolo convinto, anche se, a dire il vero, alla sua solitudine si era ormai rassegnato da tempo; malgrado ciò era il postino più affidabile e puntuale che si fosse mai visto in giro. Sguardo fiero e sincero, portatore sano di quell’inconfondibile schiettezza, era capace di inchiodarti spalle al muro con poche semplici e imbarazzanti lucide parole che facevano capolino, sornione, sulla sua lingua ruvida e senza peli. Voltandosi verso Italo, e continuando anche lui l’ostinata alzata di gomito, aggiunse sogghignante – Pensa che Fulvio la settimana scorsa era talmente ubriaco che non ricordando il proprio numero di telefono ha iniziato a comporre numeri a caso; noi bastardi incuriositi l’abbiamo lasciato fare: ci sembrava un ottimo esperimento empirico sul calcolo delle probabilità. Ammettiamolo: c’erano scarse possibilità di riuscita...
– E alla fine, l’ha beccato il numero giusto? – Chiese Italo col bicchiere di birra in mano.
– Ci sono controverse interpretazioni, dovute al fatto che quando finalmente una voce di donna rispose, Fulvio chiese candidamente se il marito fosse in casa in quel momento. Il caso volle che il marito della donna all’altro capo della cornetta non fosse in casa; a quel punto sul viso di Fulvio si stampò un’espressione teatrale e partorì la seguente lapidaria affermazione: “Sono io tuo marito! Vienimi a prendere che sono ubriaco lercio!” Inutile dirti che entra a pieno titolo nella top ten delle frasi epiche pronunciate qui “Da Ninni”. – E tra rivoli sparsi di voce continuò a ridersela tra sé, pensando con trasporto all’accaduto.
– A modo suo, forse quella sbagliata, ma una moglie alla fine l’ha trovata! Oscar, secondo te, cosa gli farà la moglie a Fulvio, questa volta, quando glielo riportano a casa ubriaco marcio?!
– Secondo me, lo mena! – Rispose su due piedi divertito. E poi osservando Italo attentamente e con occhio sospettoso incalzò – Sicuro di non averle prese anche tu? Hai la faccia di un cane bastonato?
– In un certo senso... Beh sai, cose che capitano: sono stato colpito da una mora dai capelli ondulati.
– Ahi Ahi Ahi!! Como me duele el corazon! – Oscar sfotteva allegramente e a tutto spiano il povero Italo e, facendo finta di ricomporsi, continuò – E ora dov’è questa ragazza?
– Sparita.
– Magari è solo nascosta bene, oppure... È una maga! Sì, mi sa che è esattamente così: sei chiaramente sotto l’effetto di un incantesimo; non c’è niente da fare, hai tutta l’aria di esser stato stregato per bene, per non dire un’altra parola tanto affine per consonanza, caro il mio giovane Italo. E continuò, pareva, via via sempre più serioso – E dimmi un po’, da quanto tempo va avanti quest’evidente sequela di espressioni bastonate sul tuo viso?
– All’inizio pensavo fosse una cosa da nulla, sai l’inaspettata visione della ragazza superfiga e irraggiungibile che ti fa fantasticare solo per qualche ora e poi tutto passa... E invece tornando a casa e nei giorni successivi ho cominciato a lavorare di ricordi, di associazioni mnemoniche che non sentivo mie, come se un’altra mente dentro di me si stesse risvegliando da un sonno profondo, e volesse rendermi partecipe di un qualcosa di veramente importante a botta di voci situazioni e gesti familiari. L’ho vista in spiaggia qualche settimana fa. Hai presente la notte di San Lorenzo? Alcol, musica scintille e piccoli falò? Bene... Lei era lì, e ballava e si divertiva con un gruppo di amici. Ad un certo punto della serata l’ho vista appartata dietro uno scoglio che ci stava lasciando letteralmente l’anima: vomitava a fiotti, non so se mi spiego. Quel movimento giulivo, associato a tutto quell’alcol in corpo, gli avrà sicuramente causato una reazione tanto indesiderata che alla fine non ha retto più. E poiché pareva che i suoi amici si schermissero dietro un atteggiamento di indifferenza, o forse proprio in quel momento non si erano assolutamente accorti di nulla, ho pensato immediatamente di raggiungerla in soccorso, di essere lì con lei – intendiamoci – come un essere umano che si interessa in modo disinteressato ad un altro essere umano, per presentarmi, certo, in viscide circostanze, ma per sostenerla – come avrebbe detto David Foster Wallace – “in una moltitudine di piccoli e poco attraenti modi”; fornendole insomma, per quanto avrei potuto, un pratico aiuto di sostegno che si sarebbe indubbiamente sposato con quel suo riserbo malcelato nella sofferenza dell’attimo. Poi però la timidezza mi ha vinto, e ho preferito non essere troppo indiscreto, sai: non volevo fare figure di merda inopportune; così ho lasciato correre gli eventi come venivano, senza che la mia presenza estranea si interponesse fuori luogo, senza che quel mio possibile intervento si fosse manifestato, solo ed unicamente, per il suo misero intralcio impacciato...
(continua parte #3)

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