giovedì 17 ottobre 2013

Nation Branding & Intrattenimento

La riforma della Rai: un intervento auspicabile per l’identità-Paese

Oggi la parola crisi sembra impregnare il sentire comune con una tale insistenza da racchiudere, con una certa aurea di significatività, ogni tipo di destabilizzazione strutturale e/o personale di fronte all’incerto. La ricorsività di tale allusione comporta molto spesso, a torto o ragione, un alibi di non-intervento proprio su quelle tematiche o questioni che sembrano necessitare, per la loro gravità e urgenza, di una condivisione pubblica auspicabile sulle prospettive risolutive, volte al raggiungimento di un benessere collettivo.
Per affrontare dunque l’emergenza che sta investendo il sistema-Paese, bisognerebbe individuare delle strategie sensate di rinnovamento proprio in quei settori o sottosistemi che, per la loro rilevanza, potrebbero risollevare sia le sue sorti identitarie che il suo livello di immagine e rappresentanza a livello globale. Uno tra questi – e oggetto di un recente intenzione politica/riformatrice – è il “soggetto” Rai, il più importante servizio pubblico informativo in Italia. Tale rivestimento, che deriva da una storia complessa e articolata, potrebbe trovare nell’attuale contingenza politica del Paese le condizioni opportune per un rilancio d’immagine, a seguito di un ripensamento dei fattori di forza e di potenzialità tutt’ora esistenti e che caratterizzano i diversi comparti aziendali.
L’auspicabile ripensamento dovrà necessariamente tener conto – e dunque rapportarsi – agli sviluppi societari in atto, che vedono una colonizzazione sempre più marcata del sistema-mercato in altri sistemi per natura differenti, in cui dovrebbero vigere logiche del tutto diverse da quelle che regolano le transazioni riconducibili alle categorie economiche. Sempre in quest’ottica, si dovrebbe d’altro canto tener conto della visibile e palpabile disaffezione politica dei cittadini, che in ordine di uno scarso riconoscimento di tipo ideologico (caratteristico invece degli anni passati), registra la debolezza dei diversi partiti politici nella rappresentanza dei bisogni espressi e riconosciuti.
Per quanto riguarda la prima questione, pare evidente il ricorso – all’interno di un settore, quello della Rai, considerato pubblico – alle logiche di mercato, poiché considerate meno costose e più efficienti (anche per tenere testa – in una logica concorrenziale – all’altro grande canale informativo di natura privata: Mediaset). La concezione e la pratica delle esternalizzazioni, che si concretizza nella gestione di interi reparti produttivi da parte di soggetti privati, deve essere necessariamente ri-definita secondo un equilibrio che vede soddisfatti sia il valore della flessibilità – uno dei principi cardini su cui poggia il regime di mercato – sia il rispetto dell’equità e del pluralismo societario, che, in teoria, dovrebbe essere garantito da un sistema pubblico teso al raggiungimento di un interesse di tipo collettivo. Quest’ultimo, va reso praticabile e spendibile offrendo tutta una serie di servizi che permettano la concreta esplicitazione di un certo tipo di informazione considerata di qualità, avulsa dalle caratteristiche proprie dei format esterni, che tendono a privilegiare e a perseguire la logica del successo immediato negli orientamenti della competizione sfrenata alla ricerca di maggiore audience.
Ci si rende conto, soprattutto in un’ottica generazionale, che questo tipo di televisione oggi non funziona più, o meglio, che ha funzionato solo per un certo periodo di tempo, in cui il mercato si ergeva come giustiziere dell’intrattenimento e la spinta all’individualizzazione che ne conseguiva soddisfaceva i bisogni culturali del momento, fornendo un senso “confezionato” a certe visioni sul mondo. Oggi, soprattutto tra i giovani, si preferisce accedere ad un’informazione “fai da te” e ricercare un senso culturale più di tipo personalizzato. Questo implica da un lato il quasi completo abbandono di quella “scatola parlante” e unidirezionale chiamata TV, dall’altro l’utilizzo sempre più marcato delle nuove tecnologie messe a disposizione della rete, che consentono in maniera più libera e più critica – e attraverso alcuni strumenti anche in una logica bi-direzionale – la ricerca di quegli spazi di interesse personale, e soprattutto di interesse collettivo, trascurati dall’emittente pubblico, e dunque non messi a disposizione da quest’ultimo. Detto ciò, pare opportuno restituire e concedere una maggiore autonomia alle strutture editoriali proprie di questa azienda, promuovendo un giornalismo che sia veramente d’inchiesta, e che permetta una ricerca sul campo atta a conciliare il bisogno di cultura e la sua declinazione non elitaria del vivere quotidiano. Quindi alleggerire la struttura burocratica, non nell’ottica di una politica dei tagli bensì nell’intenzione di rivitalizzare una struttura che si presenti più funzionale, sembra uno degli interventi strategici più congeniali per mettere in atto una pluralità autonoma all’interno del comparto aziendale, che potrebbe tentare – nelle sue diverse ramificazioni produttive – di vivisezionare la realtà informativa rendendo e offrendo un servizio di maggiore qualità, tale da poter essere fruito da uno spettro di popolazione più ampio.
Ritornando dunque alla prima questione, pare evidente che il risparmio dei costi compiuto attingendo da fonti esterne di mercato sia, ormai, una via impraticabile nella direzione del perseguimento di un servizio che si riconosca – e venga dunque legittimato dall’esterno – come servizio propriamente pubblico. Occorre, in sostanza, un approccio “conciliante” che prenda in considerazione sia le acquisizioni di flessibilità e di libertà proprie del sistema-mercato, sia le qualità e le peculiarità intrinseche che dovrebbero di per sé caratterizzare un sistema di pubblica utilità, com’è quello del soggetto Rai. Quest’ultime, data la cogente situazione odierna d’emergenza, dovrebbero essere rispolverate e rivitalizzate, allo scopo di dar luce a quel senso identitario e patriottico che possa risollevare – e dunque dar voce – al pluralismo societario presente nel nostro Paese, in chiave competitiva ed internazionale. In quest’ottica, gli elementi utili confacenti il sistema-mercato serviranno a snellire e debellare – e rendere in questo modo più dinamiche – quelle logiche che, proprio perché attribuibili al sistema pubblico, vengono troppo spesso imputate di lentezza burocratica, e che per giunta sono gravate da costi onerosi non più sopportabili.
In ultimo, per quanto riguarda la questione della disaffezione dalla politica dei partiti da parte dei cittadini, risulta proponibile un allentamento della “politicizzazione” sugli aspetti gestionali complessi dell’azienda, dando adito ad un quadro della democrazia rappresentativa in ordine alle funzioni essenziali. Questo perché la politica, intesa in senso ampio, sta cominciando ad essere pensata e anche praticata in maniera del tutto diversa rispetto al passato. Le ideologie, ormai, trovano sempre più spesso pochi cittadini proseliti, che preferiscono organizzarsi autonomamente in soggettività sempre più diversificate allo scopo di rivendicare – e rendere in questo modo manifesti – nuovi diritti, valori e bisogni concreti da soddisfare. In questo senso, è utile osservare le diverse realtà che pian piano vanno consolidandosi in quelle che sono state definite “comunità virtuali” e che, attraverso le loro azioni “digitalizzate”, compiono concreti interventi di rappresentanza nel e sul mondo reale: in virtù della loro innovativa rilevanza, riscuotono piccoli successi avendo una non irrilevante incidenza di ripercussione a livello macro-societario. Sarebbe a questo punto auspicabile creare e promuovere nuovi canali informativi pubblici che, in connessione con le nuove tecnologie di rete, possano dare visibilità – tenendo conto dei relativi messaggi – a questi nuovi micro-fenomeni identitari. Quest’ultimi, nel complesso, non esprimono altro che un bisogno di democrazia partecipativa che va a concretizzarsi in un nuovo “Pensiero di Paese”, attivato da soggetti sociali motivati nella creazione inter-attiva di un benessere comune; tutto questo a fronte delle nuove sfide emergenti dal cambiamento in atto.       

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