lunedì 7 ottobre 2013

Attesa Non-luogo

Era la fine di un ciclo e l’inizio di uno nuovo. Era seduto. Le gambe le aveva accavallate, un piede che in pendenza ritmava una sonorità inesistente. Uno sguardo assente, quasi beffardo, un modo come un altro per ingannare un tempo severo. Si divertiva così, occultamente, discorrendo tra sé e sé pensieri lungimiranti e degni di nota, ma che la sua mente vedeva perdersi nel vuoto così repentinamente da assomigliare a fuochi artificiali fiacchi e slavati, simili a raffiche di code di comete piangenti. Spesso in situazioni del genere si crogiolava ostinatamente in allusioni astratte, e i suoi tentativi di appigliarsi a qualcosa di concreto si mostravano alla lunga per quello che realmente erano: impulsi vaghi e vacui di un emisfero che non gli apparteneva. La sua presunta lucidità che lo aveva da sempre contraddistinto in quel momento si era volatilizzata, e gli esiti che lo aspettavano di quell’incontro erano figli non ancora in fasce di un futuro che non c’era ancora. Era lì dunque, seduto, in un ambiente che ricordava vagamente una sala d’attesa aeroportuale. Attendeva un turno invisibile creato ad hoc, ciò che comunemente viene chiamato un appuntamento. L’enorme vetrata che si apriva slanciata verso l’alto svelava un sole settembrino nell’arco d’ascesa, e tutto faceva sperare ad un nuovo inizio terso e libero da nuvole minacciose, come quel cielo dipinto ad acquerello che padroneggiava limpido sulla città. Un’atmosfera ovattata, un rullio di luminescenze saettanti provenienti da display ben congeniati, un rumore sordo e inconsueto di una scala mobile che viene su, quasi sospinta da sbuffi di vapore lenti e lamentosi. Un pubblico a lui disinteressato, un via vai di studenti frettolosi e dormienti nelle rispettive caselle di vita. Era una situazione nuova in un luogo nuovo: il tipico interesse per un qualcosa che si fa incalzante e si rende inaspettato. Decise di aprire il suo libro, quello che da qualche giorno custodiva in borsa, e continuò a leggerlo e a sfogliarlo e a decifrarlo, esattamente dal punto dove un bizzarro segnalibro gli ricordava una persona a lui cara, ormai nascosta e solo interpellata nelle segrete del suo passato. Ad ogni fruscio di pagina un ricordo, ad ogni parola un rimuginare concatenato di pura meraviglia inaspettata: colpi di scena di un mondo che allora viveva sulla carta e che per questo vivrà per sempre. Attendeva paziente. La sua lettura donava al tempo un trascorrere lento e pacifico, proprio di chi è ormai pronto a prender parte ad una cerimonia ben consolidata, vista e vissuta tante volte. L’unica differenza però consisteva nel fatto che lui quella cerimonia non l’aveva mai vissuta, e i rituali che l’avrebbero accompagnata si sarebbero mostrati nuovi e colmi di aspettative: domande e risposte che l’avrebbero visto come indiscusso protagonista. Malgrado ciò sembrava non curarsene affatto, e la sua pacata ostentazione del viandante capitato lì quasi per caso trasmetteva a chi lo osservava una candida quanto austera tranquillità. Ad un certo punto alzò lo sguardo. La parola che aveva memorizzato per dare senso alla frase appena letta prese forma, e cominciò lentamente ad avanzare verso di lui. Ci fu da parte sua una specie di sussulto, poi un’immediata auto-chiarificazione per quello che stava accadendo: le parole ormai liquide sotto i suoi occhi lo sottoposero ad un caleidoscopio di sensazioni forti e maneggevoli, simile ad una giostra impazzita dagli ingranaggi invisibili. Al termine di questo abbaglio quasi onirico il tutto si delineò nella sua istantaneità reale: una ragazza alta e ben vestita, dai capelli rossi e ondulati e drappeggianti, accompagnata per di più dalla sonorità cadenzata di un tacco non indifferente, gli si fece contro, e con sommo garbo gli diede il benvenuto.


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