martedì 29 ottobre 2013

L'iperrealtà dell'e-democracy

A parere di molti studiosi, la società in cui ci è capitato di vivere, e che dunque caratterizza sia le modalità sia i tempi scanditi dalla nostra vita quotidiana, presenta a tutt’oggi i tratti della complessità. La significatività e la portata di tale affermazione può essere applicata e discussa nei diversi campi dello scibile umano, trovando pressoché unanimi consensi su una questione centrale e di fondo: siamo di fronte ad un cambiamento di carattere epocale. Il cambiamento in atto sembra viaggiare sui binari dell’incertezza e dell’indefinito, rendendo pertanto l’inquadramento dell’intero sistema societario poco uniforme e difficilmente identificabile, assumendo, dunque, caratteristiche complesse che sono proprie di quelle relazioni che si attivano tra i vari sottosistemi che lo compongono.
Nel nostro Paese, la riforma in corso d’opera dello Stato sembra essere un indice inequivocabile di questo cambiamento, che pone quest’ultimo nelle condizioni e nella necessità di ridefinirsi sia internamente sia nei suoi rapporti con l’esterno. Tutto questo pare evidente dalla recente riforma amministrativa, che ha investito l’intero settore/sistema Pubblico, andando a rivoluzione la propria concezione di ruolo e di intervento tradizionalmente attribuibili ad esso. L’impellenza scaturita dalla scarsità di risorse e dalla congiunta “emergenza” di nuovi ed eterogenei bisogni da soddisfare, ha segnato una battuta d’arresto e al contempo una specie di “ritirata” dello Stato, che ha visto nella crisi della concezione e della pratica del welfare state il proprio compimento. Dunque vi è un mutamento di ruolo: da Stato-soggetto lo Stato tende a prendere le fisionomie di un soggetto regolatore, rendendo praticabile e funzionale un discorso sulla “cosa pubblica” che sia estendibile al resto della società civile intesa in senso lato.
Il quadro degli interventi normativi coglie appieno questo cambiamento di rotta, e detta le condizioni di un nuovo approccio relazionale che va a ridefinire primariamente i rapporti tra Stato e cittadino, nuovo interlocutore privilegiato che diventa protagonista effettivo della filosofia riformatrice. Quest’ondata di mutamento prende avvio, per l’appunto, a partire dagli anni novanta, dove l’emanazione della legge n. 142 e la susseguente legge n. 241 introducono aspetti del tutto innovativi rispetto all’assetto precedente. Prendendo in considerazione quest’ultima (n. 241) – che attribuisce una maggiore concretezza agli istituti di partecipazione e accesso gia previsti dalla prima (n. 142) – sembra come, nel pensiero del legislatore, si volesse introdurre un nuovo capitolo costituzionale riguardante la democrazia amministrativa. Infatti, la legge assurge a rango costituzionale, soprattutto in relazione alla pubblicità degli atti e dei documenti di un’amministrazione pubblica che aveva fatto fino ad allora del segreto, della discrezionalità e del clientelismo un modello paradigmatico nella definizione dei propri rapporti con i cittadini. Si passa, dunque, da una legittimità interna ed esterna di uno Stato che poneva le sue fondamenta principalmente sull’autorità e sulla segretezza – quest’ultima associata soprattutto ai processi di funzionamento interni – ad una legittimità e una legittimazione che fa della trasparenza il proprio fondamento nell’esercizio del potere e della funzione pubblica.
Per ri-configurare dunque un’amministrazione capace di rispondere ai cambiamenti in atto e di corrispondere, in maniera soddisfacente, alle esigenze della società civile, bisogna concepire un sistema che gestisca di meno e regoli di più e nel miglior modo possibile; che fornisca prestazioni di elevata qualità e orientate soprattutto ai bisogni dei cittadini; che presenta una massima snellezza operativa con adeguata possibilità di scelta da parte degli utenti/clienti dei pubblici servizi; e che introduca importanti e decisivi meccanismi di controllo sui risultati – ai fini di un feedback valido orientato alla ri-programmazione – tanto più efficaci quanto poco invasivi e formalistici.
Si sviluppa pertanto, all’interno della pratica amministrativa, l’adozione di quei modelli che sono tipici del marketing dei servizi, rivoluzionando in questo modo le pratiche e i saperi del personale interno, che dovranno responsabilizzarsi e sensibilizzarsi verso una cultura che avrà come destinatario principale il cittadino. Ovviamente, il tentativo e la necessità di mutuare questi modelli dalle imprese di mercato e di adattarli in maniera automatizzata al settore pubblico, non può che produrre dei risultati controproducenti. Nel momento in cui si acquisiscono nozioni utili derivanti da sperimentazioni già rodate – appunto ciò che avviene nel settore privato – vi è la necessità imprescindibile di dover quanto meno adattare tali modelli e tali pratiche alle caratteristiche proprie del settore pubblico.
Gli effetti che potranno sortire – si spera – da questo cambiamento significativo a livello di norme prelude un effettivo allargamento e riconoscimento di nuovi diritti di cittadinanza. In primo luogo garantendo ai cittadini il diritto d’informazione (soprattutto nelle sue declinazioni di informarsi e di essere informati); costruendo e promuovendo l’identità dell’ente pubblico per rinsaldare i rapporti dei dipendenti pubblici e l’amministrazione da un lato e i cittadini e l’ente stesso dall’altro; offrendo, per l’appunto, la possibilità ai cittadini di esprimere in maniera attiva e sostanziale i diritti di cittadinanza, nell’ottica auspicabile di divenire soggetti corresponsabili della soluzione di problemi d’interesse generale. Tutto ciò potrà potenzialmente produrre – e aprire dunque le porte – ad un cambiamento insito e molto più importante, che riguarda la mentalità e la cultura all’interno della pubblica amministrazione: riconoscere la comunicazione quale risorsa strategica, processuale, innovatrice per la definizione degli scambi e dei rapporti con i cittadini. Questi effetti, tuttavia, allo stato attuale dei fatti trovano numerose resistenze d’attuazione e di metodo, tanto che la loro lungimiranza può essere contemplata e apprezzata nel dettaglio normativo e solo in rare eccezioni (solitamente Amministrazioni locali), in cui è effettivamente presente una sensibilità maggiore per questi temi a livello politico e dirigenziale.
La legge 150/2000 suggella e rende compimento di un percorso intrapreso dieci anni prima. Le modifiche e le innovazioni del funzionamento e delle pratiche che hanno interessato il comparto organizzativo della pubblica amministrazione, ha reso ingente la necessità di individuare nell’informazione e nella comunicazione le leve strategiche per porre in essere le attività di “apertura”, intese in senso lato. Riconduco a questa apertura un’accezione di tipo generale perché l’importanza degli strumenti che hanno come base veicolante le informazioni, finalmente accessibili, e una comunicazione, fondata sulla collaborazione, vengono individuati in una comunicazione che deve pervadere l’intera struttura. Nella legge, infatti, vengono riconosciuti tre aree di operatività in relazione ai destinatari della comunicazione: vi è l’informazione veicolata ai mezzi di comunicazione di massa; la comunicazione esterna, che individua quali destinatari i cittadini, collettività più ristrette, altri enti; la comunicazione interna, che ha per destinatari chi opera all’interno di ciascun ente; la comunicazione inter-istituzionale, che ha per destinatarie altre istituzioni e rende operativa la semplificazione nella gestione di atti e documenti in condivisione. Uno degli strumenti che rappresenta in un certo senso il punto cardine e d’incontro tra questi tipi di comunicazione – che in maniera funzionale deve dare adito a ciò che è previsto per norma – è senza dubbio l’Ufficio per le relazioni con il pubblico (URP – decreto 29/1993). Tale strumento, oltre a configurarsi come punto d’ascolto primario rivolto ai cittadini, rende pratiche le esigenze della trasparenza e della partecipazione attiva.
Nel primo caso la trasparenza viene attuata, come prima accennato, anche con la facilitazione della messa in condivisione di tutti i servizi e di tutte le prestazioni fornite per diritto al cittadino. Tale condivisione, attuata tra pubbliche amministrazioni attraverso reti telematiche, rendono effettivamente fruibili quegli impegni presi grazie al contributo normativo delle quattro leggi Bassanini: maggiore autonomia degli enti locali, delegificazioni, semplificazioni; tutto ciò per rendere meno onerosa la “ricerca” del cittadino non informato tra amministrazioni anch’esse poco informate sull’attività delle altre amministrazioni, differenziate nei compiti o ad esse correlate. L’Urp, ad ogni modo, consente una maggiore fruibilità delle informazioni anche a livello di comunicazione interna; difatti, una maggiore trasparenza in tale senso consente una facile prestazione nei servizi da erogare da parte degli stessi operatori, essendo informati e collegati ad altri comparti interni che potrebbero, in caso di necessità, giungere in aiuto nell’espletamento di pratiche e procedure poco chiare. La comunicazione interna è molto importante: costruire un senso di’identità forte e collaborativo all’interno dell’organizzazione, che gli permette appunto di percepirsi come tale con una propria cultura amministrativa, consente di interfacciarsi verso una comunicazione esterna più efficace, tale da rifondare quel rapporto di fiducia che, per molto tempo, sembra essersi logorato tra Stato e cittadini. Solo il nuovo riconoscimento di una fiducia di questo tipo e una collaborazione positiva da entrambe le parti potranno dare adito, rendendola concretamente attraverso la risorsa strategia della comunicazione, ad una vera riforma strutturale ma anche culturale della pubblica amministrazione.
Il versante della partecipazione attiva, attuato attraverso l’Urp ma anche tramite altri strumenti di semplificazione e di modernizzazione, può rendere concreto ed effettivo il coinvolgimento dei cittadini al processo decisionale (es. tavoli di progettazione Politiche Pubbliche). Ma per arrivare a questo c’è ancora molta strada da percorrere. Le ultime leggi Brunetta, infatti, fanno riferimento solo al miglioramento della qualità dei servizi e ad una maggiore conoscenza e predisposizioni di questi rivolti ai cittadini, considerati più che altro come utenti/consumatori (si veda, per esempio la proliferazione delle reti civiche e le loro evoluzioni in “Città digitali"). Certo, le iniziative di customer potrebbero rendere più effettiva la partecipazione dei cittadini alla programmazione delle prestazioni e dei servizi loro rivolti, ma bisognerebbe anche capire sia come queste progettualità vengano poste in essere sia il grado di coinvolgimento che viene concesso al cittadino. Siamo in presenza di un effettivo e-government che si contrappone alla realizzazione necessaria e complementare della e-democracy. Per rendere realizzabile quest’ultima bisognerebbe capire e intuire che i cittadini vanno accolti e affrontati nelle loro necessità non primariamente come problema, ma come risorsa funzionale e strategica. Tale è la concezione del modello di comunicazione amministrativa o comunicazione di cittadinanza, che vede nella partecipazione attiva ed effettiva dei cittadini ai processi decisionali una possibilità concreta per poter risolvere congiuntamente problemi di interesse collettivo. Poiché tali problemi oggi si presentano in maniera complessa (ritornando alla problematica iniziale della complessità), è bene mobilitare quante risorse possibili – assieme a competenze, visioni del mondo differenti e complementari – di più soggetti che, nelle loro possibilità, compartecipano responsabilizzandosi alla risoluzione di problematiche di interesse generale. “Il ruolo essenziale dell’amministrazione consiste non tanto nel risolvere direttamente il problema, quanto nel mobilitare le risorse pubbliche e private per far ciò, svolgendo cioè il ruolo di imprenditrice delle capacità esistenti nella società” (Arena, 1999).
Vorrei concludere con una citazione conclusiva a me cara, e che riassume quanto detto in maniera puntuale, filosofeggiante, fuori dagli schemi: “Non si può condurre gli uomini al bene; si può solo condurli da qualche parte. Il bene è al di fuori dello spazio dei fatti” (Wittgenstein, 1929).

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