mercoledì 11 settembre 2013

We used to wait

Eravamo soliti aspettare. Tempo passato, finito, chiuso per sempre. Sì perché oggi quando ci ricapita di vivere una situazione del genere? Aspettare? Che cosa significa? La velocità degli eventi è talmente sdrucciolevole e fugace e supersonica che non ci rendiamo neppure conto di averli vissuti quegli eventi, gli stessi che pensavamo di aspettare da tempo e invece ci sono spariti da sotto al naso senza che ce ne rendessimo conto. In generale, vivere davvero qualcosa implica, credo, sia esserci in quel qualcosa in tempo reale, nel suo fattuale divenire, sia esserci stati in un tempo precedente, giusto? Cioè il fatidico momento dell’attesa. Ed è proprio quest’ultimo, amato e osannato per i suoi attimi concitati di religiosa cerimonia, che prefigura l’amplesso della scena che verrà, dico bene? Sì proprio quello, c’hai beccato in pieno: lo stesso che si occupa delle più piccole sfumature affinché tutto sia fatto nel giusto modo, quello stesso che si preoccupa di far sì che tutto sia pronto... E poi? Tutto svanisce... Quindi che cosa se ne può dedurre? Possono essere tracciate due possibili piste di interpretazione. La prima 1) Può essere che gli avvenimenti davvero, non ce lo stiamo inventando, corrono troppo veloci, e noi (poveri noi) siamo diventati troppi lenti e piuttosto pigroni per stare dietro al loro galoppo forsennato. La seconda 2) Può non essere accaduta la prima ipotesi, dunque fuori di noi tutto è rimasto normale – gli avvenimenti non corrono e noi non abbiamo reagito a questo cambiamento esterno assumendo le sembianze di poltrone rammollite e comodone. La variante che però interviene in maniera discriminante ha sede dentro di noi, in un cambiamento di percezione che pensiamo ci faccia bene, ma in realtà va nella direzione opposta: vogliamo tutto e subito perché dobbiamo assolutamente appagare i nostri istinti, e questo pensiamo ci faccia del bene (chi non vorrebbe ora, sì proprio ora, una bella spaghettata di cozze al sugo verde?); in realtà però, quando abbiamo terminato quel piatto così sovrano che agghinda da solo la tavola per quanto è lussurioso, poi ci rimane solo la pancia piena (e direte voi: “lascia fare!”) senza però, e c’è il però, aver pregustato il preparativo che c’è dietro alla tanto desiderata degustazione: vai a trovare le cozze, di quelle buone mi raccomando; prendi lo spaghetto alla chitarra, quello ruvido al tatto e che sarà per sempre al dente, non ti sbagliare; segui la sequenza della preparazione accurata ricordandoti di utilizzare sempre l’acqua delle cozze in cottura, è importante; e così via... Quello che voglio dire è che, sì è vero hai la pancia piena e ti stravacchi sul divano dopo esserti leccato i baffi, e le tue papille gustative, in quei santi momenti, hanno goduto come delle gatte in calore... In tutto questo però lo vedete il percorso latente che c’è stato prima? Dov’è finita la magia della convivialità della e nella preparazione, della pazienza di intessere sane relazioni che ci portano al prodotto finale? (Vedi il tipo in riva al mare col cappello da marinaio che ci vende le cozze; la tipa prosperosa e simpatica che ci vende la pasta fresca magari fatta in casa proprio da lei; la giocosità che si manifesta con chi prepara con te il “santo momento” e che, durante il dispiegamento dell’arte culinaria, può svelarti i trucchetti del mestiere; e così via...).

Quello che voglio dire, e questa volta chiudo davvero, è che, mi sa tanto, abbiamo perso inesorabilmente la preziosa cultura dell’attesa, quel cerimoniale preparatorio che ci fa assaporare di più e meglio i veri gusti della vita. E, per inciso, la prima ipotesi formulata, quella sulla troppa velocità degli eventi, non è che non c’entri proprio nulla, c’entra eccome, figurati! Solo che è un discorso troppo lungo sulla società dei consumi e sulla sua obsolescenza programmata che sarebbe troppo noioso addentrarci or ora nello scoprire il vero responsabile di tutto ciò. Lo facciamo un’altra volta, promesso! Perché il vero responsabile esiste veramente, ed è anche un bisbetico burlone opportunista (mannaggia a lui!).

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