domenica 8 settembre 2013

La prossimità del virtuale

Viviamo in un mondo di veloci e ostinati cambiamenti, ma questo ormai è sotto gli occhi di tutti. La modernità ci ha lasciato in eredità pezzi di puzzle da rimettere insieme: non sappiamo con certezza se questi tasselli funzionino ancora, ma i tentativi che si fanno per ricomporli si sfaldano con un’immediatezza senza precedenti: oggi la vita sociale cerca un nuovo confronto e trova un’inedita urgenza nella ridefinizione di nuovi paradigmi. Questo discorso sui “massimi sistemi” si rende più evidente nel campo della politica: un terreno di confronti, di speranze, di dibattiti accesi, di idee forse non riciclate, che, in ultimo, dovrebbe far convergere – si auspica – i diversi interessi verso un comune obiettivo di benessere collettivo.
Dopo i moti studenteschi del 68’, dove il bisogno di cambiamento è sceso in piazza e ha fatto sentire la propria voce, è iniziata la fase della cosiddetta “disaffiliazione” dalla politica. I giovani di quella generazione scoraggiata entrarono in una fase di isolamento consapevole, in cui il privato era più appagante della piazza pubblica e dove il senso della propria esistenza veniva pian piano definito dalla partecipazione (sempre più maniacale) al mercato dei consumi. Da qui ha avuto inizio l’era che molti studiosi hanno definito dell’”individualizzazione”: la vita sociale, partecipata e condivisa, si riduce all’osso nella schiera dei soli intimi; la vita pubblica di piazza e l’esperienza di partito perdono sempre più importanza; la sfiducia nel prossimo, dettata dall’ostilità e dal narcisismo, si riversa anche e soprattutto sulle Istituzioni e sulla politica in particolare, che agli occhi di tutti diventano sempre più avverse e inavvicinabili.
Lo sviluppo delle nuove tecnologie, con il loro ormai facile accesso, ha ridisegnato con gli anni questo scenario, e fa sperare in un nuovo confronto fatto di idee e opinioni, che coprono la totalità della nostra esperienza del vivere. Non che l’individualizzazione abbia comportato solo mali: c’è chi vedeva in questo fenomeno la fine del sociale, e, per fortuna, non aveva tutte le ragioni per dirlo. No, perché oggi il sociale si avverte e come! Anche se in forma diversa, prossima e virtuale. L’appropriarsi di soli oggetti disponibili sul mercato dei consumi non poteva, alla lunga, colmare quel senso di vuoto che si allargava inesorabilmente dentro le esperienze di ognuno: se la società vive e gira sulla giostra del globo un motivo pur ci sarà! E allora la tipicità di ognuno, che ha avuto modo di riflettere su se stesso e di formarsi a proprio piacimento attraverso la rete (chi consapevolmente, chi no, ovviamente!), si organizza e partecipa (sempre in maniera personalizzata!) a network, condividendo idee, contestandone delle altre, trovando quelle ragioni che poi si esplicitano nell’“incontro studiato ad hoc” nella vita reale di tutti i giorni. In molti casi l’esperienza si costruisce virtualmente, e l’incontro “per caso” tra persone segue contestualmente questa costruzione. Paradossalmente, le nuove tecnologie consentono a chi se ne sta in disparte di tenersi in contatto, e a chi si tiene in contatto di restarsene in disparte. Ad ogni modo, è una nuova socialità che comunica, che si rende partecipe, che fa sentire nuovamente la propria voce, anche se scritta e forse, in maniera inaspettata, più invadente. Questo perché: “la prossimità virtuale riduce la pressione che la vicinanza non virtuale ha l’abitudine di esercitare. Detta anche il modello per qualunque altra forma di prossimità. Oggi qualunque forma di prossimità è destinata a misurare i propri pregi e difetti in base agli standard della prossimità virtuale” (Zygmunt Bauman, 2003).
I nuovi modi del comunicare disegnano, dunque, una nuova agorà virtuale, che si prende il suo spazio e si lascia raccontare. I social network non sono altro che spezzoni di società che si organizza, che desta gli animi e permette a quest’ultimi di immettere i propri contenuti nell’orbita del sentire comune. Forse la politica, e tutto ciò che da essa deriva, lo ha capito e cerca di cimentarsi anch’essa: il luogo della discussione per eccellenza dovrebbe sfruttare il varco della prossimità virtuale e rendersi più vicina alle problematiche della gente. La pressione è ridotta e, per questo, le idee sono più libere e si moltiplicano su più fronti. Se le altre forme di prossimità – quelle non virtuali – attingono da ciò per sopravvivere allora ciò può rappresentare un surrogato di “socialità decente”. A patto che si tenga conto della “politica dal basso”, quella seria e partecipata, quella che tiene conto delle professionalità e delle esperienze significative, quella condivisa e quella che mira a obiettivi realistici e applicabili: un nuovo modo di intendere il benessere collettivo, che si rifà a paradigmi sostenibili, che rimetta insieme pezzi di puzzle che ci sono stati lasciati in eredità, che concepisca nuovi modi di vivere e comunicare, pur sempre nelle nostre diversità e nelle nostre comunanze.

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