Ci stanno rubando l’immaginario. È un vero e proprio saccheggio
che non conosce quartiere. Il blocco che la nostra immaginazione sta subendo è
talmente sofisticato e pensato e applicato fin nei minimi dettagli che non
riusciamo a renderci minimamente conto di cosa sta avvenendo e, perciò, per
noi, resta sempre tutto uguale. E invece no. Quando accendiamo la tv, per
esempio, inizia la trafila appassionata e “coinvolgente” delle storie, e
scopriamo, molto spesso disinteressati (ma la nostra mente immagazzina lo
stesso), come lo sgrassatore universale “Cif”permette a Cenerentola di arrivare
prima al ballo; di come Banderas ci racconta i suoi metodi così famigliari e
genuini da pasticciere dei bei tempi andati immerso in un “mondo buono”; di
come, tutto ad un tratto, nell’ultimo spot dell’Enel Energia siamo divenuti,
così, dal nulla, tutti quanti guerrieri di ogni e per ogni cosa, e ci viene
anche chiesto, per giunta, di raccontare la nostra di storia, e tutto ciò con
una voce che miscela premura e il piede di guerra al contempo... E fateci caso
d’ora in avanti, l’elenco potrebbe benissimo continuare.
Stiamo vivendo quella che è stata definita la “narrative turn”, la svolta narrativa. Il
libro di un intellettuale francese con i contro-cazzi, un certo Christian
Salmon (un tipo che ha fondato nel 1993, con la collaborazione di più di trecento
intellettuali provenienti da tutto il mondo, il Parlamento internazionale degli
scrittori) questo personaggio, dicevo, ci mette in guardia con una lucidità
davvero disarmante in questo suo libro gradevole e dall’immediata lettura: “Storytelling
– La fabbrica delle storie”. Che cos’è lo Storytelling? Non è sicuramente una
pratica nuova, no, di sicuro, dato che stiamo parlando dell’arte di raccontare
storie, che è nata quasi in contemporanea con la comparsa dell’uomo sulla terra
e ha costituito un importante strumento di condivisione dei valori sociali. Bene.
Di quest’arte se ne stanno impadronendo in molti ai “piani alti”, e tutto è
incominciato all’incirca dalla metà degli anni novanta, quando la visibilità
del brand dei diversi prodotti
venduti sul mercato ha cominciato a vacillare e a non attecchire più come una
volta sulle “sensibilità” del consumatore confuso. Diversamente, “lo scopo del
marketing narrativo non è più semplicemente convincere il consumatore a
comprare il prodotto, ma anche immergerlo in un universo narrativo,
coinvolgerlo in una storia credibile. Non si tratta più di sedurre o di
convincere, ma di produrre un effetto di credenza. Non di stimolare la domanda,
ma di offrire un racconto di vita che propone dei modelli di comportamento
integrati, i quali comprendono certi atti di acquisto, attraverso veri e propri
ingranaggi narrativi”… “Le grandi narrazioni che hanno segnato la storia dell’umanità,
da Omero a Tolstoj e da Sofocle a Shakespeare, raccontavano miti universali e
trasmettevano le lezioni delle generazioni passate, lezioni di saggezza, frutto
dell’esperienza accumulata. Lo storytelling percorre il cammino inverso:
incolla sulla realtà racconti artificiali, blocca gli scambi, satura lo spazio
simbolico di sceneggiati e di stories.
Non racconta l’esperienza del passato, ma disegna i comportamenti, orienta i
flussi di emozioni, sincronizza la loro circolazione. Lontano da questi «percorsi
di riconoscimento», lo storytelling costruisce ingranaggi narrativi seguendo i
quali gli individui sono portati a identificarsi in certi modelli e a
conformarsi a determinati standard”… Salmon ci racconta tutto in questi
termini, e non finisce qui... Pensate questo epocale stravolgimento e applicatelo
ai settori più oscuri dove viene applicato il potere di controllo sugli
individui: l’ambiente di lavoro, la politica, il “cinema della guerra”, e così
via... Dunque se quando siete a lavoro entra il vostro capo in ufficio e non
comincia a parlarvi di statistiche, dati, cifre ma diversamente attacca a
raccontarvi una storiella per “stimolarvi”, per “incoraggiarvi” o per “adeguarvi
al perpetuo e vitale cambiamento necessario all’azienda”, non meravigliatevi: è
tutto “normale”. Per non parlare poi della storie raccontate nelle campagne
elettorali cosiddette “permanenti”, che tanto affascinano la gente che ne
parlano in maniera spropositata ovunque si trovino, diventando in questo modo
dei storyteller a tutti gli effetti, dei cantastorie… Insomma vi è una
proliferazione inquietante di storie per ogni cosa, avverte Salmon, tanto da
affascinarci e sedurci ma, alla lunga, renderci davvero rinsecchiti di storie
propriamente nostre... Addirittura viene utilizzato nel linguaggio di strada
ora che ci penso, quando in ambienti “particolari” si dice che quella partita “è
proprio una bella storia zio, vai tranquillo...” Insomma, incominciate a fare
anche voi questo giochino e vi renderete conto, come me, che è piuttosto
difficile uscirne: le storie artificiali sono ovunque, e, tramite esse vogliono
controllarci indiscriminatamente... “Per quale ragione si chiede ai lavoratori
di un’impresa di rompere il silenzio [e quindi gli si chiede, diversamente, di
raccontare la propria storia], dopo averglielo imposto per tanto tempo? Come
spiegare loro che quello che fino ad allora era considerato una prova di
obbedienza e di disciplina è diventato un freno al cambiamento e all’innovazione?
Si tratta forse della promessa di una nuova democrazia sociale?” Macché... Io,
da parte mia, apro un vero libro, dove c’è una vera storia in comunione con
un’altra mente, convinto di quel suo genuino modo di comunicare solamente, solo
con me, e non per controllarmi, ma per condividere, spargere l’immenso sapere...
Voi fate quello che credete sia giusto per voi: vedetevi un vero film,
osservate un quadro mozzafiato, qualsiasi altra sincera e appassionata storia,
qualsiasi...
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