giovedì 16 ottobre 2014

Mi chiamo Frandom, e sono una rana che saltella nel buio.

Mi sento inutile, sono inutile, mi hanno reso inutile. Tutto il sapere che vado accumulando nella mia vita risulta scomodo, e viene sistematicamente riciclato in qualcosa di stantio, di marcio, da eliminare il prima possibile.

Paradossalmente, chi ha studiato poco o chi conosce lo stretto e necessario, chi non si fa troppe domande, e chi, per carità, opera in settori indispensabili alla macchina-mondo – ma del tutto estranei al ed esenti dal pensiero che dovrebbe azionarlo, può avere la facoltà o addirittura la capacità economica di comprarsi una casa, di avere una vita indipendente e autonoma. Chi lassù detiene il vero potere ha intenzione di legittimare solo quest’ultimi, perché chi al contrario ha troppo sapere da manifestare, da spendere per gli altri, risulta oltremodo scomodo, e deve essere messo assolutamente da parte: va oscurato… Male che vada in un futuro lontano, e vista la sua caparbia cocciutaggine, verrà arruolato come mercenario pluripremiato e profumato di soldi, un vero e proprio soldato addestrato al sistema economico attuale, e lì il suo pensiero cambierà di conseguenza, il suo cervello verrà estirpato, per essere sostituito con un altro più consono, ritagliato su misura, giusto in proporzione al denaro che gli verrà concesso. “Lavori solo per poco e fai qualcosa che non ti fa felice”: questo è il sentimento di coloro che si vedono perennemente rassegnati, che hanno da dire molto, ma che tra un po’, molto presto, verranno messi a tacere, e si vedranno uniformati alla flessibilità arrogante e deleteria del mondo che li circonda. Non fraintendetemi: la flessibilità ci dev’essere. L’incertezza e il cambiamento che la contraddistinguono sono la stabilità dei nostri giorni, su questo non si discute. Solo che, dal mio povero e insignificante punto di vista, quella concezione di flessibilità andrebbe concepita e trattata un tantino più umanamente, solo questo.

È tutta un’illusione, un’illusione di segno negativo: ci hanno educato e formato unicamente verso questo tipo d’illusione. Ci hanno fatto credere che lì fuori sia tutta una guerra cruenta, una guerra di tutti contro tutti, senza pietà. Non ci hanno detto però che quella guerra non è altro che il riflesso giustificato di un sterminio interiore: il nemico non sono gli altri, siamo semplicemente noi stessi. Al contrario, l’illusione positiva, quella che ci consente di immaginare, di costruire, di custodire dei segreti per noi stessi, e di creare un percorso desiderabile verso questa direzione, quest’illusione positiva e edificante di mondi possibili altrimenti non esiste più, ci è stata sottratta, ma non ce ne siamo accorti: “Quando è accaduto tutto ciò?” “Dov’è che si trova il punto di rottura?” “Da dove dovremmo ripartire?” Nessuno è in grado di rispondere. È stata completamente sradicata quell’illusione di segno positivo che ci consentiva di agire in maniera costruttiva, quella che ci permetteva di alimentare le care utopie che segnavano i nostri preziosi percorsi personali… Fin da quando ha cominciato a narrarsi e ad essere narrata, la storia è sempre stata un cimitero di utopie: ciononostante permetteva un cammino, consentiva di tracciare una direzione voluta o non voluta, ma necessaria; ora, invece, non esiste più nemmeno la storia. Quest’ultima era formata da avvenimenti significanti, importanti o poco importanti che fossero; accadimenti che segnavano dei punti di rottura rispetto ad un prima e a un dopo. Ora invece esistono solo “eventi”, monadi di eventi isolati che spuntano dal nulla, per affascinare ed estasiare, non avendo più con sé né cause a priori né conseguenze a posteriori. Con essi sono andati perduti quegli effetti di significato che potevano donare una luce, che potevano a loro modo creare una consapevolezza interiore, e che dettavano – seppur goffamente – il ritmo, ormai perso, del mondo in cui ci è capitato di vivere. Avvenimenti che non posso essere più chiamati come tali, perché ciò che creano con la loro nascita non fa che sparire nella loro fonte, viene risucchiato immediatamente nel momento stesso in cui si manifestano: sono satelliti privi di senso, che orbitano attorno al loro non-senso fino al punto di implodere in se stessi. Non esiste più una trasmissione di significato, quel saggio mistero che ci veniva tramandato tramite quelle illusioni positive che ci rendevano vivi, curiosi, pro-attivi, costantemente in movimento riflessivo verso noi stessi e verso l’alterità. Oggi c’è una distesa desertica di significato, una cementificazione dell’io che raggiunge una parvenza di felicità solo quando, acquistando un qualsivoglia oggetto, accede necessitante al mercato dei consumi (preferibilmente un oggetto dell’ultimo modello, non sia mai!).

Come si fa a fingere di essere felici in un mondo del genere? Purtroppo la mia testa funziona ancora, e fin troppo bene. Al contrario, sono proprio quelli più convinti delle loro idee che seguono, senza accorgersene, i dettami della massa informe. La pressione sociale è per chi crede di pensare ciecamente con la propria testa. Fra il credere e l’agire, però, c’è un enorme abisso. Bisognerebbe ascoltare gli isolati, quelli che lontano dai riflettori cercano con tutte le loro forze di rimanere al buio, di preservare una propria, seppur maltrattata, interiorità: “Elogio dell’ombra”. Borges era un Dio, un Dio prematuro e poco ascoltato. Anche Dave lo è stato, a suo modo. Peccato che fosse un Dio costantemente sotto effetto di psicofarmaci. Se queste “soluzioni” non l’avessero strappato così prematuramente dalla vita oggi sarebbe stato di grande aiuto per tutti noi, per l’intera umanità; avrebbe sicuramente illuminato quelle sacche di buio che è necessario ascoltare, perlustrare, dove, senza pensarci due volte, bisognerebbe sporcarsi le mani. Certo è che aveva un indiscusso potenziale.

E quindi che altro dirvi: sono Frandom, una rana che, come avete letto, accumula e associa pensieri a random, e che ora, con tutto rispetto, immergerà i suoi occhi gonfi di vivere nel buio salvifico di una nuotata saltellante, per salutarvi con affetto… Ciao.

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