mercoledì 17 settembre 2014

Del prendersela coi giovani

In un’epoca in cui l’insofferenza degli anziani per i giovani e dei giovani per gli anziani ha raggiunto il suo culmine, in cui gli anziani non fanno altro che accumulare argomenti per dire finalmente ai giovani quel che si meritano e i giovani non aspettano altro che queste occasioni per dimostrare che gli anziani non capiscono niente, il signor Palomar non riesce a spiccicare parola. Se qualche volta prova ad interloquire, s’accorge che tutti sono troppo infervorati nelle tesi che stanno sostenendo per dar retta a quel che lui sta cercando di chiarire a se stesso.
Il fatto è che lui più che affermare una sua verità vorrebbe fare delle domande, e capisce che nessuno ha voglia di uscire dai binari del proprio discorso per rispondere a domande che, venendo da un altro discorso, obbligherebbero a ripensare le stesse cose con altre parole, e magari a trovarsi in territori sconosciuti, lontani dai percorsi sicuri. Oppure vorrebbe che le domande le facessero gli altri a lui; ma anche a lui piacerebbero solo certe domande e non altre: quelle a cui risponderebbe dicendo le cose che sente di poter dire ma che potrebbe dire solo se qualcuno gli chiedesse di dire. Comunque nessuno si sogna di chiedergli niente.
Stando così le cose il signor Palomar si limita a rimuginare tra sé sulla difficoltà di parlare ai giovani. Pensa: “La difficoltà viene dal fatto che tra noi e loro c’è un fosso incolmabile. Qualcosa è successo tra la nostra generazione e la loro, una continuità d’esperienze si è spezzata: non abbiamo più punti di riferimento in comune”.
Poi pensa: “No, la difficoltà viene dal fatto che ogni volta che sto per rivolgere loro un rimprovero o una critica o un’esortazione o un consiglio, penso che anch’io da giovane mi attiravo rimproveri critiche esortazioni consigli dello stesso genere, e non li stavo a sentire. I tempi erano diversi e ne risultavano molte differenze nel comportamento, nel linguaggio, nel costume, ma i miei meccanismi mentali d’allora non erano molto diversi dai loro oggi. Dunque non ho nessuna autorità per parlare”.
Il signor Palomar oscilla a lungo tra questi due modi di considerare la questione. Poi decide: “Non c’è contraddizione tra le due posizioni. La soluzione di continuità tra le generazioni dipende dall’impossibilità di trasmettere l’esperienza, di far evitare agli altri gli errori già commessi da noi. La distanza tra due generazioni è data dagli elementi che esse hanno in comune e che obbligano alla ripetizione ciclica delle stesse esperienze, come nei comportamenti delle specie animali trasmessi come eredità biologica; mentre invece gli elementi di diversità tra noi e loro sono il risultato dei cambiamenti irreversibili che ogni epoca porta con sé, cioè dipendono dalla eredità storica che noi abbiamo trasmesso a loro, la vera eredità di cui siamo responsabili, anche se talora inconsapevoli. Per questo non abbiamo niente da insegnare: su ciò che più somiglia alla nostra esperienza non possiamo influire; in ciò che porta la nostra impronta non sappiamo riconoscerci."

Palomar, Italo Calvino


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