sabato 29 marzo 2014

Una storia qualunque

Ci fu un tempo in cui si amarono alla follia, ma tutto poi svanì e il tempo si prese il resto. Si erano conosciuti a casa di amici, amici di amici, e c’era un festino in corso con un tale casino che le persone imbottigliate in quell’appartamento sembravano delle sagome in movimento col bicchiere in mano, colori suoni e musica di sottofondo, nient’altro. Un festino celebrato senza un perché, un invito ricevuto per passaparola. Erano così le occasioni di ritrovo in quella città fantasma, una città di provincia che assomigliava tanto ad un villaggio vacanze piombato in inverno, nient’altro. Da raggelare i cuori. Solo le case rappresentavano il solo e unico ristoro, e l’afflusso di gente che proveniva da ogni dove cercava di alitare benevolmente il loro ritmo. La caratteristica di quella città era che tutti quelli che si incontravano per strada in qualche modo si erano già visti, avevano avuto modo di prendere familiarità con i soliti volti, sempre e quotidianamente, da qualche parte. Il solo sforzo consisteva nel ricordare dove era avvenuto il contatto, l’incontro, lo sguardo appena sfuggito alla percezione distorta dell’alcol felicemente in circolo, o alla concentrazione della sfogliata di un libro di studio impegnato in biblioteca. Così per tutti quei ragazzi che si ritrovavano per ragioni di studio a vivere momentaneamente in quella città si trattava solamente di ricordare i volti e poi, se a qualcuno interessava qualcun altro, attivare le proprie conoscenze più prossime per arrivare alla conoscenza interessata: era un autentico gioco da ragazzi.
Birra scadente, giochi bizzarri col bicchiere traboccante in mano, discorsi effimeri, finti interessamenti reciproci: tutto proseguiva nella solita normalità segnata. Ad un certo punto però lui la adocchiò e tutto si fermò: il flusso di parole incubate in quell’appartamento si fece largo, e andarono a stamparsi gocciolanti sulle pareti di un angusto corridoio che indicavano l’unica direzione da seguire: lei. Strano, piuttosto notevole come situazione, pensò. Il suo volto gli era nuovo. Fece riflessioni sulla sua provenienza, sul come fosse giunta proprio lì, e del perché lui, prima di allora, non si fosse mai accorto della sua presenza. Strano e bello: per lui significò una boccata d’ossigeno rigenerante. Una cosa nuova. Si avvicinò, si presentò, e lei lo accolse con un sorriso, con uno scintillio d’occhi che pareva essere d’intesa. Un’intesa che aveva percorso tanti tragitti per concretizzarsi fino a lì e che ora si svelava nella sua massima e visibile rappresentazione: le labbra si contorcevano insospettatamente, gli occhi si incrociavano e si nascondevano nella dolce intermittenza, e il resto tutto intorno andava svanendo: indicava solo un contorno insignificante. Alle prime parole impacciate seguirono i momenti di condivisione, di vissuti, e il tutto culminò subito in un bacio aiutato dall’ebbrezza del momento: calda e rincuorante come l’alba del mattino, annunciata dal pescatore in barca lento sull’olio del mare.
A quella festa seguirono altri incontri, tutti teneri, tutti oltremodo saltellanti, e la pioggia invisibile, che bagnava spesso le strade che momentaneamente li dividevano, aveva il naturale compito di tonificare le passioni. Fu forse un colpo di fulmine, come vuole l’immaginario collettivo, ma di fulmini se ne vedevano ben pochi da quelle parti. Era sempre tutto grigio lì fuori, e la nebbia rendeva faticoso distinguere al mattino le ringhiere di balconi persi nel bianco nulla. Fu una trepidazione amorosa la loro, un amore sbocciato dal nulla, come accade spesso in quei casi in cui le questioni smielate e concitate si rendono alla fin fine effimere, nulla di più. Il problema stava nel disaccordo percettivo che entrambi davano alla questione. Lui non si capacitava del suo anzitempo abbandono dal gioco, del suo allontanarsi senza una spiegazione plausibile, perché non ci sono spiegazioni, questo si sentiva ripetere spesso. E quindi incominciò la trafila dei ricordi del recente passato che lo ossessionavano, che lo vedevano preda del suo amore travolgente per lei, tutto intento a ricoprirla di attenzione di ogni sorta, di un’attenzione incanalata in una sola e unica direzione, priva del rispetto per se stesso.
Lei, poetessa alle prime armi, in quel passato appena passato, aveva dato sfoggio delle sue parole in versi per lui, con accostamenti che toccavano la delicatezza, la cieca propensione, la dedizione incondizionata, lo stesso sentimento che, nei gesti, raggiungeva vette di inaudita bellezza, e che poi trovavano il loro giusto posto: il suo candido e profumato abbraccio.
Alle ossessioni, al frastuono interiore, al malessere per un qualcosa di svanito chissà dove lui lentamente cambiò, il suo volto si fece cupo, tenebroso questa volta di un miasma di fulmini interiori, altamente contrariato e offeso, perché non riusciva più a cogliere in lei quello stesso sguardo che lo aveva accolto nel suo mondo: era diventata ad un tratto un’altra persona, e tutto questo senza un perché; il perché non esisteva. Era difficile per lui comprendere che tutto quello che c’era stato era stato veramente sentito, donato ad ogni incontro con la stessa autenticità che ora gli rifuggiva, che non faceva che nascondersi o che semplicemente non esisteva più, come diceva lei. Aveva cambiato volto. L’autenticità c’era ma parlava un’altra lingua, che lui da lei non aveva mai udito. Parlava di dispiacere, di incomprensione dell’accaduto, di un sentimento che c’era stato, sì, ma che ora lei non riconosceva più come suo. La semplice constatazione di lei si imbatteva nelle continue complessità tramortite di lui, o, diversamente, la complessità del cangiante atteggiamento di lei si imbatteva, senza appello, sull’impaurita semplicità di lui, che voleva darle di nuovo solo un bacio, sentire lo stesso suo profumo accoglierlo, tutto come era successo poco tempo prima, un tempo che era come ormai blindato. Non fu così: si allontanarono. I primi periodi lo s-legame si fece assordante e poi, con la medicina del tempo, il suo eco si attenuò, via via, per prendere le strade diverse della coscienza. Lui si laureò ben presto e partì: il periodo immediatamente prima aveva condotto una vita solitaria, lontano da tutto e da tutti, e trovò conforto nelle sue letture, in quelli che poi sarebbe diventanti i suoi maestri di vita. Gli insegnarono che a tutto, quasi a tutto, c’è sempre una soluzione e che non aveva senso scoraggiarsi per qualcosa di bello che era successo: era successo e basta, bisognava solo avere il coraggio di andare avanti. Così scoprì altri luoghi, conobbe la gente del mondo e tutta la sua ammaliante e travolgente diversità. Ciononostante, il ricordo di lei ogni tanto sopraggiungeva sbiadito, e l’istantanea che li raffigurava insieme, sorridenti e innamorati, cominciò ad assumere per lui altri colorati significati, sfumature smussate da sorrisi interiori appena accentuati.
E intanto gli anni passarono e, per circostanze del tutto eccezionali, si incontrarono nuovamente, per strada, sempre in quella stessa nebbiosa e fantasma città. Le loro fisionomie si riconobbero leggermente mutate e il tono di voce aveva assunto una qualità strutturata, più consapevole, più dedita ad un incontro costruttivo, ad una situazione nuova. Avevano occhi diversi l’uno per l’altra. Tuttavia, durante i loro timidi dialoghi, uno scintillio nascosto si caricava ogni tanto di luminescenza, e quegli occhi tentavano a stento di trattenere delle emozioni che facevano capolino tra l’attrazione sempre presente e ancora, sì, ancora viva. Il nuovo incontro si sviluppò senza troppi slanci verso il passato e il tutto si risolse con una piacevole chiacchierata intrattenuta tra libri di un bar piuttosto accomodante. A distanza di giorni lei partorì una nuova poesia, stesse parole incantante, stessi versi ondeggianti, come un sughero abbandonato nella marea delle sensazioni per lui. La poesia venne letta, una sola volta. Lui ne assaporò tutta la di nuovo autentica essenza, perché è di questo che si trattava, nuovamente. Ma non fece nulla, non rispose: solo un altro sorriso gli venne, questa volta in volto. Conservò allora il bel ricordo e ripose quelle splendide parole in un diario che era stato amoroso sì, ma che nel presente, nel divenire della vita che avanzava, si trattava solamente di un diario appena, solo appena sfogliato. Nulla di più.           

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